Nel dibattito sulla sentenza della Corte Costituzionale sul fine vita, che ha stabilito come l’aiuto al suicidio in alcuni casi sia lecito, si inserisce anche Deborah Giovanati. Vicepresidente e assessore del Municipio nove del Comune di Milano e mamma di tre bambini, Deborah soffre di sclerosi multipla. In una lettera al quotidiano La Verità chiede soluzioni diverse rispetto a una “scelta secca” tra la vita e la morte e spiega come tra le due, nonostante la patologia irreversibile, lei ami la prima.
Da oggi mi posso recare in un qualsiasi ospedale del servizio sanitario nazionale e chiedere la morte. Sì, la morte, magari smettendo di mangiare e bere o rifiutando cibo dalla mensa dell’ ospedale, e con una bella sedazione profonda aspettare il sonno eterno. Chi me lo potrebbe impedire? La vita è mia e me la gestisco io, a spese dello Stato, sia chiaro. Poi certo, è più economico per i contribuenti pagare del personale che si presti dentro procedure standardizzate e legali ad agevolare i miei propositi di suicidio, piuttosto che continuare a sostenere il costo delle cure per la mia malattia irreversibile per chissà ancora quanti altri anni.
È un’ ironia amara la mia, su cui c’ è poco da scherzare. E mi scendono le lacrime, perché chi soffre per una patologia irreversibile non ha bisogno di essere messo di fronte a una scelta secca: optare per la morte come via di soluzione dei problemi o prolungare nel tempo sofferenze fisiche e patologiche intollerabili. Non è così. Noi vogliamo la vita! La vita amata fino alla fine. Ricercate soluzioni perché io possa soffrire di meno, ricercate cure per la mia patologia, ma non abbandonate le persone come me davanti all’ opzione di continuare a vivere una sofferenza ritenuta senza senso o scegliere di morire”.