“Ho fiducia che la magistratura chiarirà presto la mia posizione. So di non aver commesso reati e di aver sempre svolto i miei compiti rispettando la legge”. Così l’imprenditore Marco Carrai, 44 anni, che tra i vari incarichi che ricopre è presidente di Toscana aeroporti e console onorario di Israele per la Toscana, l’Emilia Romagna e la Lombardia, nella tarda serata di ieri, quando si è appreso che il suo studio era stato perquisito ed egli risultava indagato nell’ambito dell’inchiesta della procura fiorentina sulla fondazione Open, che dal 2012 al 2018 ha sostenuto le iniziative politiche di Matteo Renzi, e nella quale Carrai faceva parte del consiglio d’amministrazione insieme al presidente Alberto Bianchi, anch’egli indagato per traffico d’influenze e finanziamento illecito ai partiti, a Luca Lotti e a Maria Elena Boschi. Carrai, da tempo amico dell’ex premier, sarebbe stato il consigliere di riferimento per i finanziatori privati della stessa fondazione.
Nell’ambito dell’inchiesta, gli investigatori della guardia di finanza, coordinati dal procuratore Giuseppe Creazzo e su disposizione dei pm Luca Turco e Antonino Nastasi, hanno eseguito in diverse città italiane perquisizioni ad alcuni finanziatori di Open, molti dei quali figuravano pubblicamente nell’elenco disponibile online della fondazione. Alcuni imprenditori, titolari di società con sede a Firenze, Chieti e Roma, risulterebbero indagati per le ipotesi di reato, contestate a vario titolo, di autoriciclaggio, riciclaggio, appropriazione indebita aggravata e false comunicazioni sociali. Le perquisizioni e anche il coinvolgimento di Carrai sono conseguenza di controlli fatti nello studio dell’avvocato Bianchi nel settembre scorso, quando venne acquisita la documentazione di Open, compresi gli elenchi dei finanziatori. “Tutte le entrate e le uscite della fondazione sono tracciabili perché avvenute con bonifico e carte di credito. Tutto alla luce del sole”, ha dichiarato Bianchi in una nota diffusa dal suo legale.
Secondo l’ipotesi della procura fiorentina, però, Open avrebbe funzionato come articolazione di partito e impiegata come strumento di finanziamento illecito. Gli investigatori avrebbero individuato presunte anomalie tra le prestazioni professionali, rese da Bianchi e collaboratori del suo studio, e i finanziamenti avuti dalla Open, a partire da una parcella che la holding Toto avrebbe pagato nel 2016 all’ex presidente della fondazione per una consulenza in una causa amministrativa. Adesso, però, gli inquirenti starebbero valutando anche operazioni relative al periodo delle primarie del Pd del 2012 e al ‘Comitato per Matteo Renzi segretario’. L’attenzione si sarebbe centrata pure su alcune ricevute di versamento da parlamentari.