Bisogna subito licenziare. Duemilanovecento subito. Già nel 2020. Per arrivare a 4.700 entro il 2023. Altre strade per restare in Italia non ci sono. Sono queste le condizione ‘preliminari’ avanzate dall’amministratore delegato di ArcelorMittal Italia Lucia Morselli al tavolo convocato al Mise per restare in Italia. Senza questi tagli del personale non si può continuare ad investire. Dunque, nel nuovo piano industriale del colosso che ‘gestisce’ l’Ex Ilva sarebbero previsti 4.700 esuberi: si passa dai 10.789 occupati del 2019 ai 6.098 del 2023. Una sforbiciata paurosa. Nel 2022 ArcelorMittal stima di spegnere l’afo2 facendo entrare in funzione un forno elettrico che assorbirebbe meno mano d’opera. La produzione degli impianti dell’Ex Ilva sarà di 6 milioni di tonnellate a partire dal 2021. Nel 2020 la produzione sarà pari a 4,5 Mt. Questi i numeri freddi per far leva sul governo. “L’azienda ha avuto quest’anno uscite di cassa di un miliardo di euro” avrebbe detto l’ad Morselli al tavolo al Mise. Dunque per rientrare nei costi bisogna licenziare. Semplice. Altrimenti l’Italia si tenga lo stabilimento.
Spiazzato da questa presa di posizione dell’azienda il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, che spiega che “la è strada è stretta e in salita. L’obiettivo sta nel garantire la continuità produttiva. E’ necessario un confronto costruttivo onesto che sia sviluppato nel tempo, parallelamente alle previsioni sul piano industriale ed a tutto quello che stiamo cercando di fare”. Sbrogliare la matassa non è semplice e bisogna vedere come risponderà il governo che, viste le frizioni tra M5S e Pd, dovrebbe cercare di paralare con una unica voce. “Tra venerdì e lunedì il governo presenterà un suo piano industriale che farà diventare Ilva un esempio di impianto industriale siderurgico, con uso di tecnologie sostenibili, con forni elettrici e altri impianti ecosostenibili per arrivare a una produzione di 8 milioni per tutelare livelli occupazionali”, dice ancora Patuanelli. “L’azienda invece di fare un passo avanti ha fatto qualche passo indietro, ricominciando a parlare di 4.700 esuberi alla fine del nuovo piano industriale, che prevede comunque un forno elettrico e una produzione finale di 6 milioni di tonnellate. Questa non è l’idea che ha il Governo sullo stabilimento. Riteniamo che la produzione a fine piano debba essere più alta, arrivando almeno ad 8 milioni di tonnellate”, ha detto il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, su Arcelor Mittal, dicendosi “molto deluso” dall’incontro.
“Noi vogliamo far diventare lo stabilimento Ilva all’avanguardia nella produzione siderurgia europea. Su questo lo Stato, il governo, è disponibile a investire, ad essere presente, a partecipare e accompagnare l’azienda a questo percorso di transizione. Su queste basi siamo disponibili e ci sembrava che ci fosse una disponibilità dell’azienda che oggi non ho trovato nel piano illustrato”.
Intanto insorgono i sindacati che lanciano uno sciopero generale ed una manifestazione a Roma per il prossimo 10 dicembre. Quello presentato al Mise da Arcelor Mittal Italia “non è un piano industriale: è un progetto di chiusura nel tempo di Taranto e di Ilva”, dice il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, al termine dell’incontro al Mise. “Abbiamo un accordo firmato un anno fa che prevede investimenti, 8 milioni di tonnellate di acciaio da produrre e quella è la base da cui partire. Per noi la discussione è possibile se si parte dall’accordo che abbiamo firmato”.
“Non ci sono le condizioni per aprire un confronto. Noi un accordo lo abbiamo fatto un anno fa e non venti anni fa anni e per noi quello rimane. E con quelle caratteristiche”, ribadisce la segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan. “L’incontro è andato malissimo, rigettiamo la proposta dell’impresa”. “Sul tavolo ci sono complessivamente 6.300 esuberi tra nuovi e vecchi”.”Per noi quindi non esiste alcuna possibilità di aprire una discussione di merito se la proposta dell’azienda rimane questa”.