Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da James Hansen il seguente articolo:
La schiavitù è un’istituzione antichissima. Esisterebbe dal primo momento che un uomo si accorse di poter imporre la propria volontà ad un altro. La sua abolizione negli ultimi due secoli è una delle più straordinarie realizzazioni dell’epoca moderna.
È meno antico il legame tra lo schiavismo e il concetto di razza. Per i Romani lo schiavo tipo era perlopiù uno sconfitto in guerra, indipendentemente dal colore della pelle o l’origine geografica. Per la Chiesa poi, schiavo poteva essere un infedele, ma il possesso in proprietà di un cristiano da un altro era vietato.
Con le esplorazioni dell’Africa e la scoperta delle Americhe emerge il fattore razziale, specialmente con l’idea che la pelle scura dovesse rappresentare la perdurante maledizione di Noè al figlio minore Cam e ai suoi discendenti, dei quali il colore della pelle sarebbe stata una testimonianza dei peccati compiuti dagli antenati. Altri pensarono che la schiavitù potesse fornire una via di salvezza, come il Vescovo di Darién (Panama) che nel 1519 ebbe a dichiarare che gli indiani delle Americhe erano “a mala pena uomini e la schiavitù è il mezzo più efficace ed in realtà l’unico utilizzabile con loro”.
“Lo schiavo” dell’immaginario popolare è oggi un nero africano, al punto che è difficile concepire alternative razziali, ma in un episodio dimenticato fu invece proposta la riduzione in schiavitù di buona parte della popolazione bianca degli Usa per evitare la sanguinosa Guerra Civile che scosse il Paese tra il1861 e il 1865.
George Fitzhugh era un teorico sociale americano—tra i padri della sociologia—che nei suoi scritti precedenti alla Guerra osservò che: ““È un libello contro gli uomini bianchi dire che non sono adatti alla schiavitù… Prendeteli giovani, addestrateli, addomesticateli, civilizzateli e diventerebbero servi fedeli e preziosi, come gli inglesi acquistati in gran numero attraverso il sistema di servitù debitoria dai nostri antenati coloniali”. La servitù debitoria fu una tipologia di contratti di lavoro che caratterizzò agli inizi l’emigrazione europea. Nacque per fornire lavoratori alle prime colonie inglesi caraibiche e nordamericane, permettendo ai migranti europei di affrontare la proibitiva spesa del viaggio in cambio
della loro futura prestazione d’opera attraverso contratti cedibili a terzi. La risoluzione del rapporto da
parte del migrante era considerata un crimine.
Fitzhugh riteneva che il capitalismo creasse inevitabilmente la diseguaglianza sociale e che gli oppressi potessero essere meglio tutelati attraverso la soggiogazione. “Se potessimo comprare degli Yankee come servitù domestica, confinando i neri ai lavori nei campi, tutti i contrasti sull’abolizionismo cesserebbero”. Non era satira. Fitzhugh era proprietario di schiavi, sudista e “gentiluomo di Virginia”, ma non vedeva la necessità di giustificare l’istituzione su una base razziale. Sviluppando il tema nel libro “Cannibals All” (Cannibali tutti) del 1857, osservò: “Concludiamo che 19 individui su 20 abbiano un ‘naturale e inalienabile’ diritto di essere presi in cura e protetti, di avere guardiani, fiduciari, un maestro, un padrone; in altre parole, il diritto di essere schiavi”.
Invece, gli schiavi neri americani furono emancipati nel 1863 da Abramo Lincoln. Il Brasile li liberò nel 1888. Nel 1980 lo stato africano di Mauritania fu l’ultimo paese nel mondo ad abolire ufficialmente ogni forma di schiavitù.