Non scende l’asticella della tensione tra Cina e Stati Uniti. Stavolta c’è di mezzo la Repubblica di Cina, nome ufficiale di Taiwan, universalmente considerata un vero e proprio modello nel contenimento dell’epidemia: nonostante la vicinanza con il focolaio di Wuhan, grazie a una strategia tempestiva che si è rivelata, numeri alla mano, decisamente efficace, è riuscita a limitare i danni, registrando decessi che si contano poco più sulle dita di una mano.
Ma c’è di più: non ha avuto bisogno di attuare misure restrittive che altrove, invece, come nel nostro Paese ma non solo, stanno lasciando una scia di danni economici con i quali saremo costretti a fare i conti per parecchio tempo.
Ecco che entra in scena l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che nelle scorse settimane è finita nel mirino, sia per aver inizialmente sottovalutato l’emergenza, secondo molti, sbagliando tanto (troppo) ma anche per aver un atteggiamento eccessivamente ossequioso nei confronti di Pechino.
Nell’ultimo periodo, Taiwan è diventata una spina nel fianco della Cina e dell’OMS con le sue misure di controllo dell’epidemia, pronta a far leva sul suo “soft power” davanti alla comunità internazionale. funzionari sanitari di Taipei, la capitale di Taiwan, hanno dichiarato di aver allertato l’OMS sul rischio di trasmissione da uomo a uomo del nuovo virus, già fine dicembre, senza tuttavia essere presi in considerazione. L’Oms smentisce, Taiwan pubblica la mail ma al netto delle polemiche, sullo sfondo, avanza una questione squisitamente politica.
In vista dell’assemblea dell’Organizzazione mondiale della Sanità, che si terrà ovviamente in videoconferenza il prossimo 18 maggio, Taiwan vuole partecipare ai lavori, avanzando richiesta di essere riammessa alle riunioni dell’Oms, da cui Pechino – che non ne riconosce la sovranità e la considera una provincia da riunificare – l’ha esclusa negli ultimi anni. Gli Stati Uniti di Donald Trump, pronti a cavalcare l’onda della polemica contro il Dragone, appoggiano la richiesta. La Cina fa muro.
Anche in considerazione dell’eccezionale contesto di pandemia, Australia, Canada e Giappone aprono alla partecipazione di Taiwan all’assemblea, ma sembra difficile che riescano a sfondare il muro cinese.
Ma non è tutto. Come tutti sanno, tra Usa e Cina è in corso una gara tecnologica e c’è una partita nella partita su Taiwan che ha assunto un’importanza crescente all’interno della catena di produzione dell’industria elettronica. Le componenti hardware prodotte dalle sue aziende forniscono colossi come Apple e Intel, e – come scrive il Sole24Ore, nel caso della lavorazione dei semiconduttori e della realizzazione di microprocessori il livello tecnologico raggiunto dalle fabbriche taiwanesi non ha eguali al mondo.
Ed ecco “svelato” il mistero: Quello dei semiconduttori è un settore che pone le basi per il funzionamento di tantissime altre industrie: l’elettronica di consumo, l’industria del tech e l’e-commerce ad esempio sono tutte attività con mercati miliardari che offrono servizi informatici basati sul silicio.