epa08200340 A group of migrants rest at the Serbian village of Kelebia, bordering Hungary in the early hours of 07 February 2020. Serbian authorities have transported the migrants by coaches from the Kelebia border crossing station back to a reception centre in southern Serbia in the morning. On the previous day some four to five hundred migrants, who had set out from the Serbian town of Subotica, reached Serbia's border in hope of Hungary will allow them to enter and move towards western Europe. EPA/ZOLTAN BALOGH HUNGARY OUT

Corte Ue, liberare migranti al confine tra Serbia e Ungheria

I richiedenti asilo e cittadini di Paesi terzi trattenuti in maniera illegittima e senza un motivo valido alla frontiera serbo-ungherese, nella zona di transito di Roszke, vanno liberati immediatamente. Lo ha stabilito una sentenza della Corte di giustizia Ue.

Nel quadro di una procedura d’urgenza, la Grande sezione della Corte si è pronunciata sul caso di alcuni richiedenti asilo afghani e iraniani giunti in Ungheria attraverso la Serbia.

Arrivati nella zona di transito di Roszke, lungo la frontiera serbo-ungherese, questi hanno introdotto le loro richieste di protezione internazionale, poi giudicate irricevibili dall’Ungheria, che ne stabilito il ritorno in Serbia. Il Paese balcanico, a sua volta ha rifiutato di accogliere nuovamente i migranti sul proprio territorio. A questo punto le autorità ungheresi, invece di esaminare le domande di asilo, hanno solamente modificato la propria decisione stabilendo che queste persone avrebbero dovuto fare ritorno nel proprio Paese d’origine.

I cittadini afghani e iraniani hanno fatto ricorso davanti alla giustizia ungherese sia contro tale decisione (ricorso respinto), sia contro la carenza di legami fra la loro situazione e il fatto di essere trattenuti nella zona di transito al confine serbo-ungherese, dove si trovano attualmente. La Corte di giustizia Ue ha innanzitutto stabilito che la collocazione nella zona di transito di Roszke dei richiedenti asilo o dei cittadini di Paesi terzi oggetto di una decisione di rimpatrio dev’essere considerata “trattenimento”. In base alla normativa europea, nessun richiedente asilo oggetto di una decisione di rimpatrio può essere trattenuto solamente sulla base del fatto che non sarebbe in grado di provvedere al proprio sostentamento. Allo stesso modo, le direttive Ue si oppongono al trattenimento dei richiedenti asilo oggetto di una decisione di rimpatrio senza che ci sia una decisione motivata e senza che sia stata esaminata la “necessità e la proporzionalità” di tale misura. Inoltre, tale detenzione non può “in alcuna circostanza superare le quattro settimane a partire dalla data d’introduzione della domanda di asilo”.

La Corte ha anche stabilito che una misura come il trattenimento di una persona in una zona di transito debba poter essere oggetto di controllo giurisdizionale. Se, dopo tale controllo, l’autorità giudiziaria valuta che la detenzione sia contraria al diritto dell’Unione, deve avere il potere di sostituirsi all’autorità amministrativa e pronunciare la liberazione immediata delle persone trattenute, o eventualmente l’applicazione di misure alternative.

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