Al di là dei fasti di villa Pamphili e dei proclami degli ospiti, le parole più concrete e ricche di equilibrio sono state quelle della Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, quando ha ricordato a tutti e in primis al governo italiano che i fondi stanziati per sopperire alla grave crisi determinata dall’epidemia, sono il futuro dei nostri figli e delle future generazioni. Un appello ad investirli bene, ma anche un monito. Tradotto in termini semplici: attenzione a non sprecarli, questo è l’ultimo treno. Ma per far ciò occorre concretezza e semplificazione amministrativa che è alla base di tutti i provvedimenti a venire, per renderli rapidi ed efficaci. Un imponente piano di rilancio degli investimenti necessita di tempi rapidi e certi, oggi di fatto incompatibili con il caotico e farraginoso complesso di norme e incerte attribuzioni di competenze che regolano la pubblica amministrazione. L’esempio del ponte di Genova dimostra che è possibile derogare, in materia di opere pubbliche, al complesso di norme consolidato nel tempo, pur assicurando trasparenza e rispetto della legalità. Per quanto, i soliti ben pensanti, si affannano a dire che si tratta di un caso a parte e non facilmente generalizzabile, soprattutto certa parte della magistratura che vede il marcio dappertutto tranne che tra i suoi componenti, non ne vanno sottovalutati gli insegnamenti che possono facilmente trovare applicazione a un nuovo modo di essere e di operare della pubblica amministrazione. E qua sta il punto dolens: la semplificazione o sburocratizzazione che dir si voglia, passa attraverso il taglio di norme e regolamenti che rendono vano e inefficace lo sforzo del legislatore, la cui efficacia è subordinata ai procedimenti attuativi delle leggi. Rendere efficiente la macchina burocratica presuppone una profonda riorganizzazione degli enti tale da assicurare l’effettivo raggiungimento del risultato in tempi rapidi. Occorre anche che il pubblico funzionario, rispetto alla responsabilità che si assume nell’esercizio delle sue funzioni, la viva come un valore positivo e non negativo o addirittura come una sciagura. Questo è accaduto negli ultimi anni e per l’effetto si è prodotto un atteggiamento prudente e difensivo che a sua volta ha dato vita ad una enorme moltiplicazione di procedure, atti e regolamenti formali. Si aggiunga a ciò il fatto che difficilmente un dirigente pubblico ha la convenienza ad assumersi un rischio per raggiungere un risultato. Forti sarebbero le sanzioni per non parlare del danno erariale. A nulla sono valsi gli incentivi a pioggia per incentivare i funzionari ad essere solerti ed assumersi le proprie responsabilità. C’è anche da dire, però, che le amministrazioni pubbliche sono poco trasparenti nella gestione delle risorse e i risultati prodotti. Sarebbe opportuno che i dirigenti pubblici incominciassero a dar conto del tempo che impiegano per adempiere alle proprie funzioni, ormai non basta più il semplice adempimento. Siamo, quindi tutti in attesa del decreto di semplificazione che il governo Conte sta predisponendo, ma ci auguriamo sia un punto di partenza e non di arrivo e ci sia una nuova idea di come e chi responsabilizzare.
Andrea Viscardi