In un primo momento si parla di un incidente: l’esplosione sarebbe stata causata dallo scoppio una caldaia. L’ipotesi però non regge a lungo, anche perché nel punto dell’esplosione non ce ne sono, e in poche ore lascia il passo alla certezza dello scenario più temuto: l’attentato terroristico con una bomba ad alto potenziale.
Da subito, senza soste e per ore, si mettono all’opera sanitari, vigili del fuoco, forze dell’ordine, Esercito, volontari, alla ricerca di vite da soccorrere e da salvare. Una catena spontanea che in pochissimo tempo rimette in moto una città che stava “chiudendo per ferie”. Saltano le linee telefoniche e i primi cronisti giunti sul posto, per poter raccontare l’inferno di quei momenti, ‘espropriano’ la cabina dei controllori degli autobus sul piazzale, dove il telefono invece funziona. Dagli ospedali arriva l’appello a medici e infermieri di tornare in servizio, mentre un autobus Atc della linea 37, la vettura 4030, diventa simbolo di quel terribile giorno, trasformandosi in un improvvisato carro funebre che ha come capolinea la Medicina legale per trasportare le salme.
La vittima più piccola è Angela Fresu, appena 3 anni, e poi Luca Mauri, di 6, Sonia Burri, di 7, fino a Maria Idria Avati, ottantenne, e ad Antonio Montanari, 86 anni. In stazione arriva il presidente della Repubblica Sandro Pertini, commosso e angosciato, mentre tutt’intorno una catena umana continua a spostare detriti nella speranza, sempre più tenue, di trovare ancora qualche traccia di vita. Quella stessa sera piazza Maggiore si riempie per una manifestazione, la prima risposta di mobilitazione politica per chiedere giustizia e verità
Complessa e scandita da diversi colpi di scena è stata la lunga vicenda processuale. Ad oggi per la strage di Bologna sono condannati in via definitiva, come esecutori, gli ex Nar Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini. A gennaio, dopo quasi due anni di dibattimento e decine di testimoni, è arrivata la condanna all’ergastolo per Gilberto Cavallini, accusato di concorso nella strage. A maggio è finito nel registro degli indagati un altro esponente dei movimenti di estrema destra, Paolo Bellini, il ‘quinto uomo’, ex Avanguardia Nazionale.
Un capitolo a parte spetta invece alle inchieste che si sono susseguite per individuare i mandanti della strage del 2 agosto 1980. A 40 anni dai fatti sembrano esserci finalmente dei nomi da inserire in queste caselle: Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato, Mario Tedeschi. Tutti e quattro sono morti e non potrà mai esserci un processo, né una sentenza di condanna o di assoluzione. La Procura generale è arrivata infatti alla conclusione che dietro la strage ci siano ‘Il Venerabile’ della loggia massonica P2, morto nel 2015, in combutta con apparati deviati dello Stato, a coprire e sviare le indagini.
Gelli, già condannato per depistaggio nei processi sulla Strage, avrebbe agito con l’imprenditore e banchiere legato alla P2 Umberto Ortolani, suo braccio destro, con l’ex prefetto ed ex capo dell’ufficio Affari Riservati del ministero dell’Interno Federico Umberto D’Amato e con il giornalista iscritto alla loggia ed ex senatore dell’Msi, Mario Tedeschi. I primi due sono indicati come mandanti-finanziatori, D’Amato mandante-organizzatore, Tedeschi organizzatore.
Da deceduti, il loro nome è stato iscritto nell’avviso di fine indagine dove si certifica il concorso con gli esecutori, cioè i Nar già condannati. Per collegare mandanti ed esecutori, i magistrati e la guardia di finanza hanno seguito il flusso di denaro. Circa cinque milioni di dollari, il presunto prezzo della strage, partito da conti svizzeri riconducibili a Gelli e Ortolani e alla fine arrivati al gruppo dei Nar, forse anche con una consegna in contanti di un milione.
Intanto ancora oggi, a quarant’anni di distanza, si prova a colmare il vuoto dei mandanti e resta incerto il movente. Come ricorda il ‘Corriere della Sera’, restano da chiarire i legami dei colpevoli accertati col resto dell’eversione nera e con i presunti mandanti, apparentemente molto distanti dal mondo dei Nar. Senza contare i nodi con la strage di Ustica o con il terrorismo mediorientale, esclusi dagli inquirenti bolognesi, convinti che ogni altra ipotesi che allontani dalle responsabilità dei neofascisti non sia altro che un ulteriore depistaggio. La stessa considerazione riservata alle teorie avanzate dallo stesso Gelli e dall’ex presidente della Repubblica (all’epoca capo del governo) Francesco Cossiga, su un attentato avvenuto per sbaglio: qualcuno trasportava una valigia di esplosivo (secondo Cossiga “amici della resistenza palestinese” di passaggio in Italia) e un mozzicone di sigaretta o qualche altro inconveniente provocò il disastro.