I primi cinque eritrei sono arrivati ieri a Fiumicino. E presto potrebbe toccare, alla spicciolata, agli altri nove che da una decina d’anni aspettano in Israele di consumare la loro vendetta contro l’Italia, rea di averli rispediti in Libia nel luglio del 2009 mentre cercavano di raggiungere le coste siciliane. Scrive Tommaso Montesano su Libero “ormai è solo questione di tempo: con in tasca la sentenza numero 22917 emessa dal tribunale civile di Roma il 28 novembre 2019, che ha riconosciuto il ‘fatto illecito commesso dall’autorità italiana’ – ovvero la negazione del diritto a “presentare la domanda di protezione internazionale” a causa del respingimento via mare – tutti e 14 i migranti che il 25 giugno 2016 promossero l’azione legale nei confronti della presidenza del Consiglio (allora il premier era Silvio Berlusconi) e dei ministeri degli Affari esteri, della Difesa e dell’Interno italiani, devono ottenere il rilascio di un visto finalizzato alla presentazione della domanda di protezione internazionale. Non solo: il governo italiano è stato anche condannato al risarcimento dei danni materiali.
Una sentenza rivoluzionaria, esultano i legali dell’Asgi – l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione -, Amnesty International e la Conferenza episcopale italiana, la prima a divulgare la notizia attraverso il quotidiano Avvenire. La “portata storica” del dispositivo, come ha subito fatto notare Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, è “evidente”. Perché allarga, stabilisce la sentenza, “il campo di applicazione della protezione internazionale” anche a chi è impossibilitato a presentare la domanda di asilo a causa della mancata presenza sul territorio dello Stato al quale chiede “rifugio”.
Questo significa, intanto, che l’Italia dovrà concedere un visto anche agli altri nove ricorrenti. Ma le conseguenze di questa “sentenza pilota” potrebbero essere ben più vaste. “In teoria, tutti coloro che sono stati vittime di un respingimento devono poter usufruire di queste disposizioni” ha osservato Noury ad Avvenire.
“Migliaia di persone”, ipotizzano gli avvocati che hanno patrocinato l’azione legale. I primi a beneficiare della pronuncia del tribunale potrebbero essere gli altri compagni di viaggio dei 14 eritrei: si tratta di altre 75 persone – tra cui nove donne e, all’epoca, tre bambini – che all’alba del 25 giugno 2009 partirono dalle coste libiche a bordo di un gommone con l’obiettivo di sbarcare in Italia.
Dopo essere stati soccorsi, da motovedette libiche e anche da un’imbarcazione della Marina militare italiana, il gruppo di migranti fu riconsegnato alle autorità di Tripoli. Una volta rimessi in libertà, ed essersi stabiliti in Israele per tentare di raggiungere l’Europa via terra, un gruppo di 14 eritrei, con l’aiuto dei giuristi dell’Asgi, nel 2014 decise di ricorrere alla magistratura per chiedere “affermazione del diritto a fare ingresso in Italia per accedere alla protezione internazionale”.
Adesso la sentenza che apre – per loro, ma non solo – le porte dell’Italia. “Siamo felici di essere qui. Abbiamo ripreso ad avere fiducia nella giustizia, ora speriamo di avere la protezione di cui abbiamo bisogno”, ha detto uno dei cittadini eritrei atterrati a Fiumicino. Dopo il periodo di quarantena previsto dalle norme anti-Covid, i cinque aspiranti rifugiati avvieranno la procedura per chiedere all’Italia il riconoscimento della protezione internazionale. Per gli altri eritrei in attesa di entrare nel nostro Paese, la procedura è rallentata per la richiesta di portare al seguito anche moglie e figli (alcuni di loro nel frattempo hanno costruito una famiglia). La battaglia prosegue.