La rucola

 Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da James Hansen il seguente articolo:

Anni fa l’umile rucola ha avuto un boom fantastico e un po’ misterioso. Secondo Google
“Ngram”—uno strumento che traccia nel tempo la frequenza con cui i termini ricercati appaiono in un
enorme corpo di testi di vario tipo—l’interesse per l’erba ha raggiunto il picco attorno al 2005, per poi
ricadere al livello di sostanziale indifferenza, quello del 1998, alla fine del decennio.
La rucola esiste ancora, ma la sua presenza a tavola è tornata dove dovrebbe essere: su certe pizze e,
insieme con le scaglie di parmigiano, sul carpaccio. Quando era di moda invece, spuntava in ogni parte
del menù: c’era il gelato alla rucola, i ristoratori offrivano un bicchierino di digestivo alla rucola a fine
pasto, le sue foglie verdi trovavano posto nei dolci.
Il perché di tutto questo non è subito evidente. La rucola non era oggetto di una vasta
campagna mediatica, non c’era un prestigioso portavoce né un potente ufficio stampa che
distribuiva foto e offriva interviste. Si trattava di una pianticella inoffensiva e dal sapore
amarognolo gradevole—ma l’umanità l’aveva trascurata senza problemi per secoli ed è perlopiù
tornata ad ignorarla ora.
Aveva del suo una cosa commercialmente positiva. Si sospettava potesse avere limitati poteri
afrodisiaci. Si raccontava che fosse stata storicamente esclusa dagli orti dei conventi per il
turbamento che poteva provocare. Una balla, seppure simpatica e ben costruita. Già un decreto
dell’Imperatore Carlo Magno dell’802 raccomandava la sua presenza negli orti ben condotti.
Altri dicevano che favoriva la produzione di bile—forse una buona cosa, ma non un argomento
da tavola. Dovrebbe “sgrassare” i piatti pesanti e il suo verde vivo “ravvivare” le pietanze altrimenti
scialbe. Gli inglesi la chiamano
“rocket”—dalla “salade roquette” dei francesi—e gli americani “arugula”,
un evidente dono della diaspora dialettale italiana.
La produzione è concentrata nella Provincia di Salerno tra Battipaglia ed Eboli. Secondo l’Assessorato
all’Agricoltura campano, la produzione annua della rucola della Piana del Sele è pari a 400mila
tonnellate, il 73% della produzione nazionale, con un fatturato medio annuo di oltre 600 milioni di euro.
L’erba, in altre parole, pesa molto localmente e i produttori consorziati della Piana dovrebbero infatti
riuscire a breve ad ottenere per la loro pianta la designazione europea “IGP”—“Indicazione Geografica
Protetta”—che farebbe della produzione una sorta di rucola “DOC”.
Con la pubblicazione ad agosto sulla
Gazzetta Ufficiale europea della Domanda di registrazione e il
disciplinare di produzione
, il riconoscimento della “Rucola della Piana del Sele IGP” è quasi arrivato al
traguardo. Passati tre mesi senza che nessun altro stato membro Ue presenti osservazioni contrarie, la
Commissione pubblicherà il regolamento di decisione con il quale la denominazione sarà ufficialmente
approvata e registrata. Così, la “Rucola della Piana” andrà ad aggiungersi—per citare solo le “erre”—a un
elenco che comprende:
Radicchio di Chioggia, Radicchio di Verona, Radicchio Rosso di Treviso, Radicchio
Variegato di Castelfranco, Riso Nano Vialone Veronese
, nonché i Ricciarelli di Siena, un dolce tipico senese a
base di mandorle. La IGP non si nega praticamente a nessuno…

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