Un’attualissima Medea di Gabriele Lavia tinge di rosso il Vascello

Dopo il debutto nazionale al Teatro Greco di Taormina lo scorso agosto, approda al Teatro Vascello di Roma dal 6 al all’11 ottobre 2020 Medea con la regia di Gabriele Lavia, inserita all’interno del cartellone “Mai Più Soli”.

Lavia presenta una versione del mito riadattata per i due soli protagonisti, Medea e Giasone, interpretati da Federica Di Martino e Simone Toni.

Il regista ha scelto di semplificare la struttura drammaturgica classica spogliandola dei personaggi secondari che spesso appesantiscono la comprensione dell’opera e ha ridotto la scena al nucleo essenziale ed umano costituito dalla coppia di amanti.  Una “infedeltà drammaturgica a cui corrisponde una fedeltà alla parola di Euripide” le parole del regista.

Su questo riassemblamento moderno, infatti, l’opera risulta più intuitiva e comprensibile, “declassata” da quella esclusività alta dei grandi classici e più vicina ai labirinti reconditi del sentire umano.

La scenografia è semplice ma di impatto e descrive il tema del dolore che scorre all’interno dell’opera: su un letto di sabbia solcata vi sono due sedie rosse, un baule e un talamo, anch’essi rossi. La scelta cromatica purpurea è il tema dominante e il regista la utilizza a progressione crescente in rappresentazione del ciclo vita-amore-morte. Le musiche struggenti e angoscianti concorrono nel trasportare lo spettatore in uno spazio lontano: siamo nella mente e nel cuore di Medea. Infatti, nonostante la spartizione binaria che contrappone la donna all’uomo, è senza dubbio Medea il centro di questa rappresentazione.

Ecco una Medea moderna e dalla voce rauca, fuma e si arrotola depressa tra le coperte del letto, una Medea “scomoda” perché intelligente, colta e barbara, una Medea “oscena” e strega che compie rituali magici trasformandosi in una creatura non più umana. Il grande impatto visivo e il fascino di queste scene sono resi magnificamente dalla protagonista Federica di Martino, moglie del regista.

Il Giasone interpretato abilmente da Simone Toni è un uomo grossolano e reticente, l’esemplare del marito opportunista e irresponsabile che impone dinamiche tossiche volte a un suo personale tornaconto. Anche la scelta dei suoi vestiti, neri e monocromatici, simboleggia il marchio di tradimento e disonore di cui è segnato.

Giasone vuole allontanare Medea in esilio perché intelligente, maga e matta; lei è troppo selvaggia, non può correre con i popoli civilizzati e non può essere compresa da loro.

Il tema della donna ferina è dirompente nella rappresentazione, che si riconferma attualissima, ed è soddisfacente osservarne la sua centralità.

Selvaggia è Medea che consciamente segue le sue passioni a danno della razionalità e in un gesto folle di dolore e gelosia pianifica l’uccisione della nuova moglie di Giasone e dei figli avuti con lui.

La vendetta ha vinto: morte e dannazione inondano la scenografia figurati da un lungo telo vermiglio che la donna stende su tutto il palco. I corpi dei figli vengono rappresentati sotto spoglie di due teli rossi, di un tono più intenso del telo che copre tutta la scena, e il risultato è un’immagine delicata e allo stesso tempo struggente. Le due anime fragili non portano nemmeno un nome nell’immaginario di Medea, tanta è la gelosia che la acceca.

Medea di Gabriele Lavia ci parla di un dramma umano, spogliato di alcuni elementi classici fondanti come ad esempio il coro (che svolge la funzione collettiva e di commentare la scena e talvolta intervenire), il risultato è un dialogo crudele e serrato, che si discosta dalla tradizione greca e approda a una reinterpretazione molto umana.

La scelta stilistica di regia può essere apprezzata o meno, a me è piaciuta e mi sono emozionata.

Maria Teresa Filetici

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