Ci sono passaggi della Storia che vanno oltre le responsabilità normali dei singoli. Sono i momenti in cui non basta la gestione dell’esistente ma occorre inventare ciò che non c’è, dare risposte a quello che non immaginavamo e, spesso, ancora non comprendiamo. Sono le fasi in cui le persone, le comunità, l’umanità devono dimostrare di saper andare oltre, di saper superare loro stesse, di immaginarsi diverse, costruire il nuovo.
Ecco, se è possibile rintracciare un segno in queste elezioni americane è proprio quello di essere un momento di rottura, un passaggio, uno scarto. Ben oltre quello che gli elettori, da ambo le parti, immaginavano o hanno sperato.
Queste elezioni rappresentano un passaggio.
La società umana, soprattutto nel ricco Occidente, vive una fase di smarrimento, di perdita di “senso”, un processo di cui la crisi del Covid-19 rappresenta solo la cartina di tornasole. È una sensazione di “fine della corsa” che agita tutti, dai garantiti ai precari, dai possidenti ai nullatenenti. Da cosa deriva questa “percezione” diffusa? Da cosa è composto questo turbamento che sembra incollato dentro gli occhi di ogni persona?
A mio avviso questa impronta va rintracciata nella consapevolezza – accumulata nelle profondità delle nostre singole cellule ma non messa a fuoco nei nostri pensieri – che il nostro modello di vita si sia definitivamente incrinato. Innumerevoli sono gli elementi convergenti. Crisi ambientale, enormi e crescenti diseguaglianze nella distribuzione del reddito, scarsità progressiva delle risorse materiali, trasformazioni del lavoro che sgretolano professionalità e modelli sociali, consapevolezza che le istituzioni che avevamo, faticosamente e progressivamente, costruito negli ultimi duecento anni hanno perduto la capacità di rappresentare il luogo delle decisioni collettive, la negazione della prospettiva di “miglioramento” della vita – che era stata scambiata per aumento progressivo e incessante dei livelli dei nostri consumi -, rappresentano solo alcuni dei macro-fattori che convergono verso un unico punto che appare come il passaggio obbligato d’epoca.
A questa crisi epocale (e strutturale) la prima risposta potremmo dire “automatica”, sociale e individuale, è stata quella di incolpare qualcuno della sottrazione di “ciò che ci è dovuto”, non comprendendo come il colpevole sia lo stesso “sistema dei consumi”. È facile imputare la nostra condizione di volta in volta a un soggetto sociale, un migrante, un altro Stato, uno di una religione diversa o con il colore di pelle diverso dal “bianco”. È la forma con la quale rispondevano le antiche comunità autarchiche che popolarono il mondo quando l’umanità sul pianeta era equivalente a quella di un quartiere di una grande metropoli e quando il rapporto con la natura era ancora di totale dipendenza dalle sue dinamiche. “Chiudiamo le frontiere”, “esportiamo la democrazia con le armi”, “omologhiamo il mondo alla nostra cultura e al nostro modello di vita e di consumo” e “combattiamo chi non sta al gioco”, chi vuole autodeterminarsi e scegliere il proprio percorso. Trump, e tutta la galassia del movimento sovranista, poggiava su questa impostazione ancestrale che veniva trasformata nuovamente in “senso comune” e poi in “consenso” politico. Giganteschi apparati comunicativi hanno lavorato per un decennio, dalla crisi del 2008 in poi, per dare questo senso all’esito della trasformazione in atto. C’erano fortissimi interessi economici di una élite “tradizionalista” che tentava una rivincita storica contro la nuova élite che si era affermata dalla metà degli anni ’80 sconfiggendo le ipotesi politiche progressiste dei partiti dei lavoratori. Il messaggio era chiaro e semplice: la soluzione per l’oggi è il ritorno al passato!
Dall’altra parte, questo fronte ha trovato un ampio schieramento che è apparso dire: la soluzione al problema è continuare a fare quello che abbiamo fatto fino ad ora (e che, però, è il generatore del problema) con maggiore rigore e determinazione. Un posizionamento che non solo ha rivendicato il continuismo con i processi in atto, con il modello di società e con le logiche presenti, ma ha dimostrato l’incapacità di saper indicare una strada nuova rispetto al continuismo esasperante, fortemente caldeggiato dagli strati sociali e dalle classi più garantite da questo modello economico-sociale. Questa miopia ha trasformato le formazioni politiche delle sinistre in apparati impermeabili alle tensioni sociali e capaci solo di proporre la garanzia del ristabilimento dello stato ex-ante. Quelle che sono state chiamate “le sinistre delle zone ZTL”.
Il passaggio che la comunità degli umani su questo pianeta sta attraversando, però, non potrà essere affrontato con la riproposizione di vecchie e nuove “normalità”, che poi, a ben vedere, normalità non sono mai state. Già l’Imperatore Claudio, che governò Roma durante la vita di Cristo, pronunciò parole, trasmesse da Tacito, che gettano luce ancor oggi sui processi sociali (e mentali) di una parte rilevante delle persone: “o senatori, tutto quello che oggi si crede antichissimo, un tempo fu nuovo: le magistrature prima riservate ai patrizi passarono ai plebei e dai plebei ai Latini e infine agli altri popoli d’Italia. Anche questo provvedimento diverrà un giorno antico e ciò che oggi noi sosteniamo con esempi precedenti sarà anch’esso annoverato tra i modelli”.
Biden ha una responsabilità altissima. Governare il paese più importante del mondo in un periglioso passaggio dell’umanità, un passaggio complesso, una vera e propria biforcazione. Dovrà saper indicare strade nuove che diventeranno, come l’Imperatore Claudio ci invitava a vedere, la normalità nuova e, nel futuro, vissute come una “tradizione”. Ma ora rappresenteranno elementi di rottura delle prassi e degli interessi che ci portiamo ancora sulle spalle dal nostro passato, dai processi di rottura che oggi pensiamo come “tradizione”. Dal nostro passato dobbiamo saper conservare solo il tratto umano del riconoscimento dell’altro come uno di noi.
Se la Storia non è uno stare, ma un processo, un divenire, Biden deve saper andare oltre il Biden che si è contrapposto a Trump e indicare nuove strade. Questa è la sfida dell’oggi.