Giuseppe Conte e Matteo Renzi a confronto, a un passo dalla crisi, minacciata dal senatore toscano attraverso un ultimatum e toni molto duri nei giorni scorsi. Il primo round del redde rationem tra il premier e il leader di Italia viva si è aperto poco dopo le 19 di giovedì 17 dicembre e si è consumato in circa trenta minuti.
Renzi ha parlato a nome della delegazione già nelle scorse ore, consegnando le sue richieste, elencate in una lunga lettera, a Conte alla vigilia dell’incontro: non siamo qui per fare discussioni, ha detto, aspettiamo risposte. Dal Recovery al Mes, la richiesta è un’inversione netta di marcia: il documento di cinque pagine che Iv ha fatto pervenire sul tavolo del premier è stato carico di proposte e critiche.
Conte ha difeso le sue scelte ribadendo però disponibilità al confronto e riservandosi una “riflessione”. Il prossimo passo potrebbe essere un vertice con tutti i leader della coalizione. Intanto, un canale di dialogo è stato aperto, anche se la tensione resta.
Giuseppe Conte ricorda a Matteo Renzi e alla battagliera delegazione di Italia viva che siede di fronte a lui che quando il governo è nato, Iv non esisteva, era un pezzo del Pd.
“Ci ha detto che il nostro è un documento importante e costruttivo. Domani saremo in Cdm e continueremo a dare il nostro contributo in Parlamento a partire dalla manovra. Vedremo se ci sono le condizioni per andare avanti”. Così Teresa Bellanova, la capo delegazione, dopo l’incontro odierno a Palazzo Chigi. Prima della riunione la ministra ha dichiarato: “Per le mie dimissioni non si deve attendere molto, se non arrivano risposte”.
La crisi, ha detto un renziano uscendo dall’incontro, non è sventata: “Ora dipende solo da Conte, vedremo se ci riconvocherà, noi tireremo le somme dopo il voto della manovra“.
“Se si apre la crisi al buio – non si smette di avvertire dal Pd Andrea Orlando – non si chiude” con un nuovo governo ma col voto. Il premier è rimasto seduto al tavolo dopo aver avvertito di non essere disposto ad accettare “prendere o lasciare” e dopo aver segnato un punto riportando a casa i 18 pescatori fermati in Libia.
Di prima mattina infatti Conte, assieme a Luigi Di Maio, è volato a Bengasi per la liberazione dei pescatori di Mazara Del Vallo. La notizia è stata battuta a poche ore dall’incontro con Iv e ha avuto l’effetto collaterale, ha notato più d’uno tra gli alleati, di bagnare le polveri al leader di Iv.
“E’ stato uno smacco per Renzi”, ha puntualizzato un pentastellato. Del resto, tra gli artefici della liberazione c’è proprio quell’intelligence sulla quale Conte ha tenuto la delega, attirandosi l’ira di Iv e anche di buona parte del Pd: sia Renzi che i Dem chiedono da giorni apertamente al premier di cederla.
Si giunge così alla serata di oggi e sul tavolo a Palazzo Chigi ci sarebbe stata anche l’ipotesi della nascita di un Conte ter. Il sentiero sarebbe strettissimo, ma il premier un rimpasto non lo avrebbe escluso e anche se i partiti continuano a negare di volerlo, avrebbe potuto essere il sigillo alla fine delle ostilità.
Non si è però parlato di rimpasto, assicurano fonti renziane: sul tavolo c’era la minaccia di dimissioni. Ma Renzi ha alzato molto l’asticella delle richieste per sedersi insieme a riscrivere il programma di governo e andare avanti. Al tavolo del confronto con Conte si è presentato, oltreché con Teresa Bellanova, con la ministra Bonetti, il presidente di Iv Rosato, i capigruppo Boschi e Faraone.
“Stavolta andiamo fino in fondo”, è il tam tam fatto rimbalzare prima dell’incontro. Dopo Renzi, è intervenuta Bellanova, durissima: “Non siamo noi l’anomalia, ma un premier che ha guidato governi di colori politici opposti”.
Non siamo qui per aprire un dibattito – è il senso dell’intervento del leader di Iv – perché di infrastrutture, lavoro, riforme, Recovery plan abbiamo detto quello che avevamo da dire: ora aspettiamo le risposte.
E ancora: siamo rispettosi delle posizioni dei nostri alleati, ma dal Mes alla cabina di regia del Recovery non possono esserci preclusioni. Conte ha annotato e ribattuto. Non si è entrati nel merito, ma il premier avrebbe spiegato le ragioni della task force e le resistenze del M5s sul Mes.
I Dem hanno così avvertito alleati e premier: non si può andare avanti né con i veti (di Renzi e del M5s), né con i rinvii (di Conte), è il messaggio di Orlando. E’ un cronoprogramma di governo, articolato, quello che chiedono i Dem: non è detto che Iv non faccia davvero saltare il governo, ma non ne nascerebbe – è lo spauracchio agitato davanti ai renziani – un governo di larghe intese guidato da Mario Draghi, bensì il ritorno al voto.
La risposta agli ultimatum renziani è un lungo elenco di proposte Pd, rilanciato sui social, che include anche il Mes per la sanità, anche se ridimensionato: non avrebbe senso – ha ragionato Orlando – chiedere tutti i 36 miliardi di prestiti, perché farebbero lievitare il debito. E poi riforma fiscale progressiva, legge elettorale proporzionale, parità salariale uomo donna, riforma delle politiche attive del lavoro per fronteggiare la fine del blocco dei licenziamenti, affrontare il tema delle grandi piattaforme digitali.
“Sta a Conte”, è il messaggio, trovare un modo per districarsi tra le richieste dei partiti per rilanciare l’azione di governo. O non si va più avanti