Una delle possibili risoluzioni dell’attuale crisi di governo può essere la formazione di un governo di minoranza. Se il premier Conte ha ottenuto la fiducia alla Camera con 321 voti (la maggioranza è 316), lo stesso potrebbe non ripetersi in Senato dopo le comunicazioni del premier, con il mancato raggiungimento della maggioranza assoluta di 161 voti. Ma cos’è un governo di minoranza?
Come dice il nome stesso, un governo di minoranza è un governo che non gode del pieno supporto del Parlamento. In Italia, l’articolo 94 della Costituzione stabilisce che “il governo delle avere la fiducia delle due Camere”, ma non è contemplata la maggioranza assoluta come condizione necessaria.
Non è semplicissimo giungere a questa conclusione in Italia, in quanto la formazione di un governo deve partire da tre basi: Camera e Senato devono dare la fiducia; nel voto di fiducia i Sì devono essere più dei No; al Senato bisogna tener conto che gli astenuti si sommano ai No.
Un governo di minoranza, però, può formarsi in presenza di un accordo preventivo esplicito con altre forze politiche che pur non facendo parte della maggioranza, consentono ai propri senatori di non partecipare al voto. Un’altra condizione necessaria è che poi l’opposizione non abbia un atteggiamento ostruzionista ma “responsabile”.
In Italia si sono già verificati alcuni governi di minoranza: nel luglio 1963 Giovanni Leone formò il suo primo governo con 255 voti alla Camera e 133 al Senato. Nel 1976 toccò a Giulio Andreotti, che col suo terzo governo ottenne appena 136 voti al Senato e 258 alla Camera.
In tempi più recenti, anche Berlusconi nel 1994 ha guidato un governo di minoranza, senza ottenere la maggioranza assoluta in Senato, ma fu un’esperienza breve.
Nel 1995 fu il turno di Lamberto Dini, che non ottenne la maggioranza assoluta alla Camera. Nel 1999, D’Alema ottenne la fiducia di 177 senatori e solo 310 deputati.