Un grande scatolone pieno di ricordi, foto, polaroid, lettere piegate, agendine anni Settanta, un santino. Cose dimenticate e ritrovate che raccontano la strada di una vita, il suo colore.
Carlo Verdone ha deciso di guardarci dentro quando quel contenitore, a lungo dimenticato su uno scaffale, si è rotto fra le sue mani e quelle ritrovate emozioni sono diventate un libro ‘La carezza della memoria’ uscito il 16 febbraio per Bompiani dopo il successo de ‘La casa sopra i portici’ del 2012.
Un’autobiografia, scritta durante la pandemia, nel primo lockdown, che va avanti e indietro nel tempo in modo unico, dove l’immaginazione parte dalle foto, alcune riportate nel libro come quella con Francesco Nuti e Massimo Troisi o quella con dedica di Pete Townshend degli Who e nella parte finale uno scritto del padre sulla magnanimità. “La scrittura è libertà totale. Un film è importante, c’è una parte della tua anima, però è sempre frutto di un compromesso tra te, il produttore, il distributore e l’esercente. Quando scrivo non ho nessuno dietro le spalle che mi giudica, che mi dice qui metti ‘dieci risate, venti risate. Fammelo finire bene, ottimistico in maniera che la gente sia contenta” dice Verdone nel giorno in cui esce il suo libro. Ma la “scrittura – chiarisce – non è una cosa che si impara in quattro e quattr’otto. E’ un esercizio continuo ed estenuante. Scrivi, leggi determinati libri. Se fossi stato furbo, dopo il grande successo de ‘La casa sopra i portici’, che ha raggiunto le 200 mila copie, potevo benissimo uscire con un altro libro a distanza di due anni. Ero sicuro che avrei fatto il botto. Ma quanti anni sono passati? Nove anni. Questo fa capire che avevo qualcosa veramente da dire, altrimenti non mi sarei azzardato a scrivere” sottolinea l’attore, regista, sceneggiatore che ci ha regalato film come Un sacco bello, Bianco, rosso e Verdone,Borotalco. Poetico, dolente, intimo, la copia zero de ‘La carezza della memoria’, che ha dedicato ai suoi figli Giulia e Paolo, è stata donata da Verdone al Papa. “Il Vaticano mi ha chiesto di fermarmi qui perchè ci sarà un comunicato più avanti dove si capirà bene perchè lo ho incontrato e in che occasione. Ho scritto una bellissima dedica al Papa. Mi ha detto che era stato contento di parlare con me e che il libro lo avrebbe sicuramente letto. A me basterebbe che leggesse anche solo la dedica. Ci ho impiegato un’ora per farla, non era semplice” racconta.
Oltre a Roma, la sua città, c’è Torino, dove si è formato, dove ha incontrato Macario, Enzo Trapani e ‘Non stop’ e c’è Siena, la città del padre, il grande storico del cinema Mario Verdone, che “ama moltissimo”. Nelle pagine dedicate a Federico Fellini ricorda come nessuno come lui abbia saputo cogliere l’anima del Lazio. “Quelli che hanno raccontato meglio Roma sono stati quelli della parte Adriatica dell’Italia: Fellini, Amidei, Ennio Flaiano, Pasolini. Tutta gente dell’Adriatico. Lo stupore per loro è più forte e raccontano la città con maggiore obiettività”. Nel libro anche i viaggi in treno, lo stupore degli incontri tra cui quello con una giovane prostituta, Maria, con cui ventenne ha vissuto un rapporto platonico, che potrebbe diventare un film con la sua regia. “Ho avuto un rapporto quasi sessuale con la vita. La ho vissuta pienamente, amandola nelle sue megalomanie, mitomanie, miserie, involontarie comicità, prendendo di punta soprattutto i personaggi più anonimi però cercando di individuare quell’elemento che in qualche modo meritava di essere raccontato”. Mentre scriveva di Maria, del loro incontro, lui vent’anni, lei venticinque, guardando le loro foto – quella che lei ha scattato a Verdone sulla terrazza condominiale è nel libro – “emergevano dettagli, elementi di quella vicenda che avevo in qualche modo rimosso. E’ un racconto al quale sono molto affezionato. E’ pieno di sentimenti, di dolcezza, di profondità. Oggi manca tanto la leggerezza, la profondità e anche un po’ di romanticismo. Viviamo in una società molto cinica. Ci ho messo due giorni a scrivere quell’episodio” che è molto cinematografico. Un film? “Finirà così, lo farò come regista. Il problema sarà cercare chi fa Carlo Verdone a 23 anni e chi fa lei. Ma, prima o poi lo devo fare, perchè fa parte della mia vita” annuncia Verdone che è un grande appassionato di fotografia, di musica, che fa dialogare diverse forme artistiche. “Questa sensibilità deriva dalla mia famiglia. Casa mia era una galleria d’arte. Mio padre conosceva importanti pittori, registi. E’ stato un grande educatore, mi ha fatto viaggiare molto indirizzandomi verso lo stupore”.
Come vive la pandemia? “E’ capitato qualcosa che le persone intelligenti potevano intuire stesse succedendo. Non è un caso che Bill Gates avesse annunciato, qualche anno fa in un’intervista, quello che esattamente è successo. Io l’ho vissuta con filosofia. Mi sono detto: questo è un anno perso o guadagnato? Cerchiamo di farlo guadagnato. L’unica cosa che posso fare è scrivere un libro e ho preso quello scatolone”. Potrebbe esserci un seguito? “Ci sono altre foto, altre persone, altri episodi però troppo privati e non sempre molto allegri. In questo libro ho voluto raccontare quello che fosse per me una carezza per l’anima e mi auguro lo sia anche per il lettore” dice con generosità.