Le numerose crisi bancarie scoppiate in Italia negli ultimi anni sono state sicuramente, alcune di esse, favorite dalla duplice recessione del 2008 e 2011 ma altrettanto sicuramente da controlli poco efficaci, per non dire nulli, di Bankitalia. Per raccontarle tutte non basterebbero una dozzina di articoli quindi ci limitiamo a fare un piccolo riepilogo di ciò che è accaduto negli ultimi 15 anni.
Tra il 2004 e il 2005 c’è stato tentativo di alcuni grossi gruppi stranieri di assumere il controllo di alcune banche italiane, il cosiddetto scandalo ‘Bancopoli’. In quei mesi c’era la banca Antonveneta, oggetto delle attenzioni della banca olandese ABN Amro, e la Banca Nazionale del Lavoro oggetto degli interessi della banca spagnola Banco Bilbao Vizcaya Argentaria. Nello stesso periodo questi due istituti di credito italiani erano nel mirino anche di due altre banche italiane: la Banca Popolare di Lodi, poi Banca Popolare Italiana, guidata da Gianpiero Fiorani, interessata all’acquisto di Antonveneta e Unipol, guidata da Giovanni Consorte, interessata alla Banca Nazionale del Lavoro. Siamo nella primavera del 2005 e in questo periodo circola molto sui giornali e nel dibattito pubblico la formula “italianità delle banche” quasi per giustificare ad ogni costo un eventuale acquisto nostrano scongiurando l’offensiva di istituti di credito stranieri . Prima di emettere l’Opa verso Antonveneta, la banca di Fiorani aveva aumentato la sua quota di partecipazione nell’istituto di credito. ABN Amro aveva fatto lo stesso. Questo genere di operazioni che necessitano dell’autorizzazione della Banca d’Italia, secondo le indagini della magistratura svoltesi in seguito, sono state autorizzate dall’allora governatore di Bankitalia Antonio Fazio a beneficio della banca di Fiorani e a discapito della banca olandese, accelerando alcune autorizzazioni e rallentandone altre.
Gli indagati alla fine diventano ventitré e tra questi, oltre all’amministratore delegato della Banca Popolare Italiana Gianpiero Fiorani, c’è il finanziere Emilio Gnutti, insieme a diciotto imprenditori bresciani suoi amici e sodali dell’operazione Antonveneta, e gli immobiliaristi Danilo Coppola e Stefano Ricucci. La procura sostenne che erano state messe in circolazione delle notizie false per modificare il prezzo delle azioni di Antonveneta e ostacolare così l’Opa di ABN Amro, e che gli imprenditori bresciani erano stati finanziati dalla Banca Nazionale del Lavoro per rastrellare azioni Antonveneta per conto di Fiorani. Una vicenda che dal punto di vista giudiziario, tra prescrizioni e assoluzioni, si è risolta in un nulla di fatto ma che ha fatto emergere l’incapacità di Bankitalia di assolvere al suo ruolo di controllore, oltre alla confidenza indebita tra l’allora governatore Fazio e Fiorani emersa da alcune intercettazioni telefoniche.
Il caso Antonveneta poi torna agli onori della cronaca anche nella nota crisi della banca più antica del mondo: il Monte dei Paschi. Parliamo dell’acquisizione dell’istituto di credito, da parte di Mps, avvenuta nel novembre 2007 per 9 miliardi di euro: una cifra spropositata per una banca che l’anno prima aveva chiuso il bilancio con un utile netto di 408 milioni di euro e ricavi per due miliardi. Antonveneta, dopo lo scandalo ‘Bancopoli’ era stata rilevata per 8 miliardi dall’olandese Abn Amro, acquisita a sua volta da un consorzio composto da Rbs, Fortis e Santander. Durante l’operazione, i revisori valutarono Antonveneta 6,6 miliardi ma il gruppo spagnolo riuscì a cedere subito dopo Antonveneta a Mps per un prezzo fortemente sopravvalutato, incassando una plusvalenza di 2,4 miliardi. Mps fu costretta a ricorrere ai derivati per occultare il reale impatto sui conti di un’operazione fuori mercato.
Negli anni precedenti all’acquisizione di Antonveneta, Mps aveva già iniziato a operare su prodotti finanziari derivati con una disinvoltura non comune per un istituto italiano con lo scopo di coprire le perdite di bilancio derivanti da altre operazioni, spalmandole su un arco temporale più lungo. Operazione fallimentare anche a causa del fallimento di Lehman Brothers nel settembre 2008: secondo alcune stime, le perdite legate a queste operazioni sui derivati toccano i 750 milioni.
Secondo un’inchiesta pubblicata al tempo dall’agenzia di stampa internazionale Bloomberg Banca d’Italia, governata dall’attuale premier Mario Draghi dal 2006 al 2011, sapeva da tempo delle perdite di Banca Monte dei Paschi di Siena, un buco quasi 400 milioni di euro. Le vicende giudiziarie legate a questa vicenda devono ancora concludersi e la banca senese ora è stata sostanzialmente nazionalizzata, con lo Stato azionista di maggioranza al 68%, ed è in attesa di ricollocazione sul mercato: la fusione con Unicredit sembra la strada percorribile.
Negli ultimi anni poi ci sono state numerose crisi di altrettante banche medio piccole che hanno polverizzato i risparmi di circa 400 mila famiglie. Parliamo di Banca Etruria, Banca Marche, Cassa di risparmio di Ferrara, Carichieti, Cassa di risparmio di Cesena, di Rimini e di San Miniato, Banca Popolare di Vicenza e Veneto banca.
Dissesti finanziari riconducibili a molteplici fattori: mala gestio, ingerenze politiche, conflitti di interesse, strapotere nelle mani di pochi, operazioni creditizie non coerenti con le caratteristiche di banca locale. I costi per il sistema e la collettività si aggirano più o meno intorno ai 5 miliardi. Vicenda che ha spinto in questi anni politici di varie appartenenze partitiche i politici a chiedere la testa dei dirigenti della Banca d’Italia, compreso il governatore attuale Ignazio Visco. Nel mirino ovviamente c’è l’attività di vigilanza che anche stavolta non ha funzionato visto che gli ispettori di Bankitalia effettuano periodicamente delle visite presso gli istituti bancari, esaminano documenti, interrogano i funzionari, passano al setaccio le operazioni ma non hanno i poteri della magistratura. Ma è proprio questo il punto evidenziato da molti, compresa l’associazione degli utenti dei servizi bancari dall’Adusbef: non aver denunciato alla Magistratura situazioni sospette. La tesi di Adusbef è che alla fine i vertici di Banca d’Italia “hanno sempre raccontato la solidità di banche piene di buchi spacciate per solide, esonerandosi ed autoassolvendosi da qualsivoglia responsabilità e colpa grave”.
Anche in questo caso ci sono alcune vicende giudiziarie in corso che ancora non si sono concluse ma, al di là di eventuali sentenze di condanna o assoluzione, rimane il dato di fondo: Banca d’Italia non ha controllato come avrebbe dovuto.
Questi in sintesi, i molteplici problemi che numerose banche italiane hanno dovuto affrontare negli ultimi 15 anni; non proprio un bel biglietto da visita per Bankitalia.