Conte, a poche ore dall’appuntamento fa sapere che non si presenterà all’incontro con l’ambasciatore cinese e Grillo. Così proprio mentre il Garante del M5s incontra il capo della diplomazia del Dragone in Italia, il premier Mario Draghi si trova in Cornovaglia per il G7. Summit in cui il presidente Usa Joe Biden ha invitato a rafforzare l’asse occidentale in funzione anti-cinese.
Un vertice che ha in cima all’agenda le cosiddette tre ‘C’ – Covid, Cina e clima, su cui sta puntando molto il nuovo corso dell’amministrazione americana.
Draghi sta riportando a tutti gli effetti l’Italia nella sua naturale collocazione Atlantica, dopo gli anni in cui a Palazzo Chigi ci si muoveva strizzando l’occhio in maniera ondivaga alla Cina o alla Russia. Anzi, è proprio in chiave anti-Pechino che si stanno muovendo le diplomazie occidentali in questi mesi, tanto che le sessioni finali del G7 saranno allargate a Sud Corea e India, oltre all’Australia, nella prospettiva di una proiezione orientale mirata a rilanciare il multilateralismo e a contenere la Cina.
Si chiama ‘Build back better world’, ricostruire un mondo migliore, il piano per le infrastrutture globali che Joe Biden, ed i leader del G7, hanno lanciato al tavolo della concertazione per ‘una competizione strategica con la Cina ed impegnarsi a concrete azioni per venire incontro all’enorme esigenza di infrastrutture nei Paesi a basso e medio reddito’, si legge in un comunicato diffuso dalla delegazione della Casa Bianca al vertice in Cornovaglia.
La Casa Bianca intende ‘fare pressioni sugli altri leader per un’azione concreta sul lavoro forzato per chiarire al mondo che noi crediamo che queste pratiche siano un affronto alla dignità ed un clamoroso esempio della competizione economica sleale della Cina’.
C’è poi l’intesa per un’azione del G7 contro la Cina su dumping e diritti umani. L’idea è di sfruttare il fatto che la Cina, membro dell’Organizzazione mondiale del commercio da esattamente vent’anni, ricade nella definizione di ‘economia non di mercato’. Questo consente ai suoi partner commerciali, compresi gli Stati Uniti, di utilizzare un quadro speciale per determinare se le esportazioni cinesi vengano vendute a prezzi ingiustamente bassi e, in caso, applicare dazi anti-dumping.
Biden avrebbe voluto una dichiarazione finale ancora più agguerrita contro la Cina. Ha voluto attaccare Pechino sullo sfruttamento del lavoro degli uiguri dello Xinjiang, ‘un affronto alla dignità umana e un esempio della scorretta competizione economica della Cina’, riferisce un portavoce della Casa Bianca. Ma si è ritrovato frenato da Merkel, e anche da Draghi, di fatto la voce del pragmatismo del vecchio continente già emerso nel vertice di coordinamento europeo al G7 con Macron, von der Leyen e Michel. Un vertice in cui ha prevalso la linea tedesca, ma anche italiana, sulla necessità di un ‘approccio articolato’ con la Cina.
Da quando è stata lanciata da Xi Jinping nel 2013, la ‘Belt and road initiative’ cinese si è diramata in più di 100 paesi al mondo in settori chiave come le ferrovie, i porti, le autostrade e altre infrastrutture. Biden vuole contrapporvi la ‘Build back better world initiative’, programma che mobiliterebbe capitali del settore privato in settori come il clima, la sanità, il digitale, la parità di genere, soprattutto nei paesi a basso e medio reddito per sfidare la presenza cinese. A Carbis Bay i sette leader trovano l’intesa su questo piano, ma non è ancora chiaro come funzionerebbe, quanto capitale verrebbe investito.
Ma, malgrado le differenze di approccio, l’intesa raggiunta contro Pechino non è da prendere sottogamba. Di fatto, innesca un ciclo nuovo nei rapporti tra oriente e occidente. ‘Le conclusioni del G7 di Biarritz nel 2019, nemmeno la citavano la Cina’, ricorda il portavoce della Casa Bianca.
Commentando il vertice del G7 in corso in Cornovaglia, la Cina ha affermato che sono finiti i tempi quando ‘un piccolo gruppo di Paesi’ poteva decidere i destini del mondo. ‘I giorni quando le decisioni globali erano dettate da un piccolo gruppo di Paesi sono finiti da molto’, ha affermato un portavoce dell’ambasciata cinese a Londra, citato sul sito della Reuters.
‘Noi crediamo che i Paesi, grandi o piccoli, forti o deboli, poveri o ricchi, siano tutti uguali, e che gli affari del mondo devono essere gestiti attraverso la consultazione tra Paesi’, ha aggiunto il portavoce.
Ritornando ai Cinque Stelle nonostante il forfait di Conte, la cornice dell’incontro in ambasciata appare tutt’altro che casuale. Pd e centrodestra accusano subito i grillini di sudditanza nei confronti di Pechino, ma il vero caos scoppia all’interno del Movimento. ‘Ma qual è la nostra linea? Incontrare l’ambasciatore cinese mentre Draghi è al G7?’ reagiscono inferociti molti parlamentari. Senza dimenticare che il titolare della Farnesina Luigi Di Maio, passata l’ubriacatura filocinese, negli ultimi mesi si è impegnato a tessere una tela diplomatica ancora più fitta con gli Stati Uniti. Non a caso, Di Maio ad aprile scorso è stato il primo ministro degli Esteri straniero ad essere ricevuto a Washington dal segretario di Stato Usa Antony Blinken. ‘Grillo ha già commissariato Conte’, osserva una fonte pentastellata di primo piano. Altri tirano in ballo uno scambio di favori tra il comico e l’avvocato. Grillo ha blindato il limite dei due mandati per consentire a Conte di rivoltare il M5s come un calzino e l’ex premier si è impegnato a confermare il rapporto privilegiato dei grillini con la Cina. Sale quindi la pressione intorno a Conte.
Grillo è quasi un habitué degli incontri con gli ambasciatori della Cina. La prima volta fu nel 2013, insieme a Gianroberto Casaleggio, per un incontro con l’allora capo della diplomazia cinese in Italia Ding Wei nella sede della Casaleggio e Associati a Milano. Poi i due faccia a faccia in due giorni con Li Junhua a novembre 2019. E ancora, a completare il quadro del feeling del M5s con il Dragone, ci sono state le polemiche sulla gli accordi della Via della Seta, sui presunti rapporti di Davide Casaleggio con Huawei e sulla difesa del regime da parte di Grillo in merito alla questione della minoranza Uigura perseguitata da Pechino.
Lia Quartapelle, deputata del Pd e responsabile Esteri della segreteria di Enrico Letta, invita gli alleati del M5s a smetterla con gli ‘sbandamenti’ in politica estera. Ci va giù dura la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, che dice: ‘I grillini sono la quinta colonna del regime cinese in Italia’. Il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri ironizza: ‘Grillo di nuovo dai cinesi? Sarà una visita periodica per prendere evidentemente ordini’.