“Noi lavoriamo perché si vada a votare il prima possibile”, ha detto Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, a margine della presentazione del suo libro a Bologna. “Credo che ci sia bisogno di un governo che abbia una visione chiara, di una maggioranza compatta, coesa, che ha una visione compatibile e un forte mandato popolare. Questo il governo attuale non ce l’ha. E quindi credo che alla fine sulle grandi scelte avrà sempre difficoltà a dare un indirizzo chiaro alla nazione. Poi, non dipende soltanto da me”.
Terzo il Pd di Enrico Letta che cresce dello 0,2% e sale al 18,9%. Molto indietro c’è il M5S, che perde ancora, un quinto di punto, e cala ad un mesto 14,4%, roba da distanza siderale dalle percentuali alle ultime Politiche. E Forza Italia? Il partito fondato da Silvio Berlusconi perde un quinto di punto e si attesta al 6,8%. Dagli azzurri in poi ci sono le percentuali under 5%.
Azione di Carlo Calenda è al 3,9% e perde lo 0,1% in una settimana, Sinistra italiana di Nicola Fratoianni guadagna lo 0,3% e sale al 2,7%. Mdp Articolo 1 di Roberto Speranza perde lo 0,2% e scende al 2,5%. Al 2,4% troviamo Italia Viva di Matteo Renzi, che perde un decimo di punto. Leggera flessione per +Europa, che scende al 2%, poi i Verdi all’1,7% e Coraggio Italia all’1,2%.
Quello che pare dato costante a prescindere dalla corsa a due Fdi-Lega e a contare gli ultimi quattro sondaggi, è il tracollo del Movimento 5 Stelle: le beghe da ring fra Conte e Grillo e perfino il tentativo di sanarle con una sorta di “tregua armata” sono arrivare a pesare ancora giusto nei giorni in cui il movimento si è diviso sulla riforma della giustizia e sul tema della prescrizione. Ad ogni modo Fratelli d’Italia spunta un terzo di punto e sale al 20,8% davanti alla Lega perde esattamente il terzo di punto guadagnato da Meloni e si attesta seconda al 20,2%.
Il Movimento 5 Stelle in una sola settimana ha perso mezzo punto percentuale, scivolando al 14,4% delle preferenze degli intervistati. Le divisioni interne, le discussioni e l’incoerenza della dirigenza del MoVimento stanno di fatto confondendo gli elettori, che nella maggior parte dei casi non si ritrovano più nei valori che hanno portato il M5S al 33% dei consensi nel periodo di massimo splendore. Quei tempi sembrano ormai lontani e l’impressione è che la base si stia separando dai vertici.
”I Cinque Stelle come leader di questo Paese non esistono più. Continuiamo a considerarli perchè fanno notizia, ma sono il contrario di quello che erano”, così Matteo Renzi nel corso della presentazione del suo libro “Controcorrente” al Teatro Augusteo a Napoli.
Due gruppi tra loro contrapposti avrebbero dimostrato l’impossibilità, per il M5S, di superare la prova-governo mantenendo almeno in parte alcuni degli slogan che a suo tempo consentirono la conquista della maggioranza relativa del Parlamento. Per evitare questa deriva, i capi hanno trovato la soluzione più logica: una diarchia. Cioè comandano in due. Ma che sia la soluzione più logica non vuol dire anche la più facile, o la più percorribile. Dai tempi dell’antica Roma, i due consoli in genere cominciano con una stretta di mano e finiscono per pugnalarsi a vicenda: difficile, raro che riescano ad andare d’accordo. Ma a parte la conoscenza della storia romana, tutti sanno, in casa grillina, che questo potrebbe rivelarsi un accordo di carta. Grillo non ha alcuna intenzione di cedere il potere di dire l’ultima parola su tutto, quando vuole e quando gli gira di farlo.
Conte invece si considera il rappresentante di un futuro che non può tollerare di essere contrastato oltre un certo limite. Del resto, lo si è visto con la riforma Cartabia del processo penale che di fatto cancella il testo dell’ex Guardasigilli grillino Bonafede sulla prescrizione. Conte era contrario a votare a favore in consiglio dei ministri, al massimo ipotizzava una astensione; Grillo, con Di Maio, la pensava all’esatto contrario: meglio accettare la mediazione offerta del ministro della Giustizia che essere isolati in consiglio con i quattro voti di cui dispone il Movimento. Risultato, Grillo ha telefonato a Draghi e si è messo d’accordo con lui. Il presidente del Consiglio, con in tasca il sostegno del fondatore, è andato avanti senza più ascoltare nessuno. Conte si è rifatto spargendo dichiarazioni di fuoco e soprattutto incitando i parlamentari a darsi da fare quando la riforma approderà alla Camera e al Senato. Dove non si sa come andranno le cose: nell’assemblea si è capito che gli animi della base ribollono, che i ministri, che hanno votato sì a Cartabia-Draghi obbedendo a Grillo e a Di Maio, sono sotto accusa e che le correnti si stanno frantumando in mille pezzi, ognuno contro qualcun altro.
La Lega è in crescita, probabilmente grazie alla campagna referendaria per la riforma della giustizia che il partito di Matteo Salvini sta portando avanti con i gazebo in tutte le città italiane e alla presenza del leader nelle piazze. Un altro sondaggio, quindi, ha stabilito che l’Italia in questo momento vuole il centrodestra con trazione leghista al governo quando, probabilmente nel 2023, si tornerà alle urne.
Il trend statistico del partito di Giorgia Meloni è positivo negli ultimi mesi, sintomatico di un lavoro di opposizione che piace agli elettori che non si rivedono nella maggioranza delle larghe intese. In queste ore la leader di Fratelli d’Italia si è schierata apertamente contro l’ipotesi di utilizzare il green pass per partecipare alle attività sociali, definendo la proposta come “l’ultimo passo verso la realizzazione di una società orwelliana”.
Video: Grillo-Conte: è scontro. Partito unico cdx? (Mediaset)