Il presidente del Consiglio Mario Draghi incontrerà oggi l’ex premier Giuseppe Conte, leader in pectore del Movimento 5 stelle, a Palazzo Chigi alle 11.
Sul tavolo ci sarà il tema della giustizia, dopo che la riforma Cartabia ha acceso i malumori della base del Movimento 5 stelle e le proteste dei parlamentari. L’ex premier e quasi leader del M5s, scrive il “Corriere della Sera”, annuncia battaglia in aula perché la riforma della prescrizione è “inaccettabile e impraticabile”.
Risolte ormai le divisioni con Beppe Grillo, in base allo statuto approvato dal dal garante il nuovo leader del Movimento potrà decidere la linea politica. E allora il 23 luglio, giorno in cui l’aula discuterà la prescrizione, probabilmente l’orientamento di voto dei Cinquestelle seguirà quello dell’ex premier, e dell’ex ministro Alfonso Bonafede, che in assemblea ha detto: “La riforma Cartabia è sbagliata – ha detto Bonafede in assemblea -. c’è il rischio di isole di impunità. E’ una battaglia che dobbiamo portare avanti con determinazione”.
Dall’altra parte però Draghi vuole lealtà e non intende accettare modifiche al testo. In passato, a rassicurare Draghi era stato proprio Beppe Grillo, ma adesso il comando passa nelle mani di Conte, che ha ottenuto dal garante un passo di lato. Come andrà a finire allora la vicenda giustizia? Nei giorni scorsi, si sa che nei momenti più difficili sulla riforma Cartabia Draghi si è sentito con Grillo e non con Conte, che ha vissuto questa linea diretta, dicono i fedelissimi dell’avvocato, come uno “sgarbo”. Oggi si prospetta quindi una resa dei conti in un momento di forte tensione, con molti parlamentari scontenti per le tante sconfitte rimediate in questi mesi di governo Draghi e con una bella fetta di esponenti che vorrebbero uscire dalla maggioranza. Il leader in pectore vuole sicuramente che il M5s conti di più nel governo e potrebbe puntare su un rimpasto della squadra a Palazzo Chigi. E all’ipotesi di uscire dal governo Conte commenta dicendo di “non averci mai pensato”.
Poi, giunge da via Arenula un altro testo, con la firma digitale di Cartabia. La ex Cirielli resta com’è. E le righe spariscono sostituite da altro. M5S s’insospettisce e s’arrabbia. Anche perché gli emendamenti di Cartabia erano già stampati e pronti per essere subemendati. Nel frattempo parte la sfilata degli esperti, l’Anm, toghe famose, notissimi avvocati, le Camere penali. A ridosso delle 19 una netta precisazione del ministero della Giustizia. Nessuna marcia indietro sulla prescrizione, ma solo un “errore materiale”. Già chiarito con palazzo Chigi. Cosa sarebbe accaduto? Via Arenula ha inviato a Chigi un testo sbagliato della riforma rispetto a quello discusso in consiglio dei ministri. Un testo con la modifica della legge Cirielli che non figurava invece tra gli emendamenti ufficiali discussi e approvati durante il consiglio dei ministri di venerdì scorso. Chigi ha passato il testo alla Ragioneria che lo ha “bollinato”. Tornato di nuovo alla Giustizia è stato girato alla commissione della Camera presieduta da Mario Perantoni di M5S.
Video: Riforma giustizia verso un accordo (Mediaset)
Ovviamente l’articolo 14, quello sulla prescrizione, rappresenta il focus del testo. Di certo c’è che la ministra Cartabia nega recisamente qualsiasi arretramento. Ma per M5S quella che invece viene considerata “una marcia indietro” finirà sul tavolo di Giuseppe Conte quando oggi incontrerà Mario Draghi.
La riorganizzazione della giustizia riguarda anche altri punti, a partire dal rinvio a giudizio, alla priorità dei processi, il carcere riservato «solo ai reati più gravi», e «pene alternative» per gli altri: la detenzione domiciliare, la semilibertà, il lavoro di pubblica utilità e la pena pecuniaria. Si allarga la gamma dei reati che possono rientrare in questa categoria: non saranno solo quelli di competenza del giudice di pace e la guida in stato di ebbrezza. Inoltre, se adesso la pena pecuniaria vale solo per i reati per cui è prevista una pena fino a sei mesi, i mesi diventeranno dodici.
.Per quanto riguarda la prescrizione, viene confermata la disciplina in vigore, che prevede lo stop dopo la sentenza di primo grado (sia in caso di condanna sia in caso di assoluzione). La durata massima per i processi d’appello è di due anni e per quelli di Cassazione di uno, con una eventuale ulteriore proroga di un anno in appello e di sei mesi in Cassazione per processi complessi che riguardano reati gravi. Trascorse queste tempistiche, subentra l’improcedibilità.
Per diminuire il carico dei processi penali, la riforma prevede che il pubblico ministero possa chiedere il rinvio a giudizio dell’indagato solo quando gli elementi già acquisiti consentono una «ragionevole previsione di condanna».
Si affronta anche il tema della priorità nei processi: spetta agli uffici del pubblico ministero, con i criteri generali precisati con la legge dal Parlamento, individuare i casi più urgenti in modo trasparente e predeterminato, da indicare nei progetti organizzativi delle Procure e da sottoporre all’approvazione del Consiglio Superiore della Magistratura.
Inoltre, in linea con il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza, la sola iscrizione del nominativo della persona nel registro delle notizie di reato non potrà determinare effetti pregiudizievoli sul piano civile e amministrativo.
La previsione dell’udienza preliminare si limita a reati di particolare gravità e, intanto, si estendono le ipotesi di citazione diretta a giudizio. Il giudice dovrà pronunciare sentenza di non luogo a procedere quando gli elementi acquisiti non consentano una ragionevole previsione di condanna.
Il traguardo della riforma in aula già venerdì 23 sembra davvero complicato. Anche se i partiti favorevoli a Cartabia, tutti tranne M5S e FdI, potrebbero ritirare gli emendamenti. Ma la discussione potrebbe slittare alla settimana successiva.