Otto presunti esponenti della famiglia mafiosa di Bagheria sono stati sottoposti a fermo su disposizione della Dda di Palermo al fine di scongiurare un omicidio. Il provvedimento restrittivo, nell’ambito di una indagine denominata ‘Persefone’ è stato eseguito dai carabinieri. Gli otto fermati sono indagati per associazione per delinquere di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, detenzione e vendita di armi clandestine, estorsione, lesioni personali aggravate, reati tutti aggravati dal metodo e dalle modalità mafiose. L’indagine, costituisce l’esito di un’articolata manovra investigativa condotta dal Nucleo Investigativo di Palermo sulla famiglia mafiosa di Bagheria, che ha consentito di comprovare la perdurante operatività di quell’articolazione mafiosa. L’indagine ha subìto un’improvvisa accelerazione in relazione a un progetto omicidiario recentemente pianificato dai vertici della famiglia mafiosa in danno di un pregiudicato locale, estraneo al sodalizio, ritenuto poco incline al rispetto delle ‘regole’ imposte dall’organizzazione mafiosa.
Il ruolo di comando della famiglia mafiosa di Bagheria, ricoperto in una prima fase da Onofrio Catalano, detto ‘Gino’, secondo i carabinieri che hanno eseguito l’operazione ‘Persefone’ era poi stato assunto da Massimiliano Ficano che riusciva, forte del legame con il capomafia ergastolano Onofrio Morreale, a indurre Catalano a ridimensionare il proprio ruolo e lo relegava in posizione subordinata, con compiti esclusivamente connessi alla gestione del traffico di stupefacenti, ma sempre sotto la supervisione del nuovo capo famiglia. I due capi famiglia, nonostante il travagliato avvicendamento al vertice, si sono impegnati nel mantenere il controllo del territorio, imponendo la commissione di estorsioni e, soprattutto, assumendo la ferrea direzione delle piazze di spaccio di stupefacenti ritenuta la principale fonte di profitto per le casse del sodalizio. Nel corso di una conversazione intercettata con un suo stretto collaboratore, Ficano affermava che in questo momento le attività più remunerative per la famiglia mafiosa di Bagheria erano costituite dalla gestione di centri scommesse e dal traffico di sostanze stupefacenti. Il provento dei delitti commessi serviva anche a provvedere al sostentamento dei familiari dei detenuti, dovere ‘sacro’ dei capimafia liberi in quanto, in caso di mancato adempimento di tale delicata incombenza, vacillerebbe il vincolo di omertà interna . Ficano poteva contare su una nutrita compagine di sodali, fra i quali gli indagati ‘Gino’ Catalano, Bartolomeo Scaduto, Giuseppe Cannata, Salvatore D’Acquisto, Giuseppe Sanzone e Carmelo Fricano. L’autorità del boss Ficano era però stata messa di recente in discussione da Fabio Tripoli apparentemente estraneo al contesto mafioso, il quale, in stato di ubriachezza e spesso intemperante, si era permesso di sfidare pubblicamente il capo mafia. Tripoli, oltre a infastidire con il suo atteggiamento provocatorio la cittadinanza bagherese, era stato violento verso la compagna e il padre (per tali maltrattamenti in famiglia è stato, anch’egli, oggi tratto in arresto). La reazione del sodalizio all’atteggiamento sfrontato di Tripoli e alla sua ritrosia a sottostare ai ‘divieti’ imposti dai mafiosi per riportare ordine nel territorio da loro controllato non è tardata ad arrivare. Su mandato di Ficano sei soggetti lo hanno selvaggiamente picchiato, cagionandogli un trauma cranico ed un trauma alla mano. Tripoli però lungi dall’assumere un contegno remissivo nonostante l’aggressione di ‘avvertimento’, ha deciso di armarsi di una accetta e faceva sapere in giro di essere intenzionato a dare fuoco a un locale da poco inaugurato da Ficano. Visto il pubblico affronto, Ficano e Scaduto avrebbero sentenziato l’eliminazione di Tripodi, pianificandone nel dettaglio l’omicidio. All’alba è scattato il fermo dei carabinieri disposto dalla Dda di Palermo.