Il referendum sulla legalizzazione della cannabis ha raggiunto il quorum in una settimana. Riccardo Gatti, psichiatra, Direttore della Struttura Programmazione, Studi e Ricerche nell’Area delle Dipendenze dell’Asst Santi Paolo e Carlo, in un’intervista al Giornale spiega quali sono i danni alla salute che la cannabis produce. E dice la sua sul referendum. Il fatto che si siano raggiunte le 500mila firme in così poco tempo non significa automaticamente che le persone siano a favore della legalizzazione? «Esatto! I cittadini potrebbero anche esprimersi contro le abrogazioni degli articoli di legge proposti. Questo metterebbe fine, almeno per un po’ di anni, a qualunque processo di legalizzazione della cannabis. L’uso della cannabis, pur essendo una droga illecita, è comunque molto diffuso, spesso anche tra i minori, che proprio non la dovrebbero usare, anche se fosse legalizzata».
Quali sono i danni provocati da hashish e marijuana? «Bisogna premettere che i giovani non dovrebbero assolutamente assumere sostanze psicoattive perché incidono sulla formazione del cervello, processo che dura fino a circa 18 anni. Queste sostanze provocano danni su due livelli: i principi attivi che producono alterazione dello stato mentale agiscono su recettori specifici danneggiando la capacità di apprendere e ricordare, l’attenzione e la capacità di concentrazione, il movimento, la capacità di formulare giudizi».
Inoltre, spiega ancora Gatti, «queste sostanze possono provocare malattie psichiatriche gravi come le psicosi.
Arrivano i dati di una metanalisi realizzata da ricercatori americani della Upstate Medical University di Syracuse, New Yor. La metanalisi è stata pubblicata di recente sull’American Journal of Medicine.
Il consumo frequente di cannabis arreca danni notevoli sulla salute. In particolare per quanto riguarda i rischi cardiovascolari che arrivano quasi a raddoppiare. Gli studiosi hanno analizzato i dati di 1,4 milioni di persone, che avevano partecipato a un’indagine di lunga durata coordinata dai Centri di prevenzione e controllo delle malattie.
Per valutare gli effetti della cannabis i ricercatori hanno eliminato una serie di fattori confondenti. Sono perciò andati avanti, anche se eliminarli del tutto non è possibile. Hanno analizzato i dati solo di non fumatori, dividendoli in due gruppi: consumatori regolari di cannabis (più volte la settimana) e persone che non l’avevano mai usata. Si è evidenziato così che i consumatori abituali (in qualsiasi forma di assunzione) presentavano un rischio aumentato dell’88% di infarto del miocardio o malattia coronarica. Mentre il rischio di ictus cresceva dell’81%.
Non solo: in un sottogruppo con persone affette da malattie cardiovascolari precoci il danno è risultato ancora più evidente. Si moltiplica, infatti, per 2,3 il rischio d’infarto e malattia coronarica e per 2 quello di ictus. Infine la cannabis fumata risulta avere una maggiore tossicità cardiovascolare.
In realtà, qualche motivo politico a base delle dimissioni c’è. Come ha avuto modo di sottolineare lo stesso Morrone, lui aveva chiesto «più tempo per l’elaborazione del testo base sulla cannabis», compito – ha puntualizzato – «assolutamente impegnativo e tutt’altro che facile». Una richiesta, la sua, che nasceva dalla necessità di contribuire fattivamente al referendum sulla giustizia lanciato dai Radicali e sostenuto, per prima, dalla Lega. «Tra la preparazione dei quesiti referendari, di cui sono uno dei presentatori, il lancio e l’organizzazione della campagna per la raccolta firme – ha ricordato – è stato un susseguirsi di impegni che tuttora continua senza sosta».
La sua richiesta è però caduta nel vuoto. Da qui le dimissioni con frecciatina polemica. «Mi sembra che sulla cannabis si voglia premere sull’acceleratore»