Al via questa mattina, nell’aula bunker di Rebibbia davanti alla Terza Corte d’Assise, il processo nei confronti dei quattro 007 egiziani accusati del sequestro, delle torture e dell’omicidio del ricercatore italiano Giulio Regeni. Ai quattro agenti della National Security finiti a processo, individuati grazie alle indagini della Procura di Roma, sono il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif è contestato il reato di sequestro di persona pluriaggravato, e nei confronti di quest’ultimo i pm contestano anche il concorso in lesioni personali aggravate e il concorso in omicidio aggravato.
Nell’aula bunker di Rebibbia sono presenti i genitori di Giulio, Paola Deffendi e Claudio Regeni, e la sorella Irene, accompagnati dal loro legale l’avvocato Alessandra Ballerini, parte civile nel procedimento. Anche la presidenza del Consiglio dei ministri ha deciso di costituirsi parte civile nel processo e l’avvocato dello Stato ha depositato l’istanza.
“Siamo in presenza di un’azione complessiva: sistematicamente dal febbraio 2016 i quattro imputati e alcuni loro colleghi hanno posto in atto azioni finalizzate a bloccare e rallentare le indagini ed evitare che il processo in Italia avesse luogo. Da parte loro per cinque anni c’è stata una volontaria sottrazione”, ha detto il procuratore aggiunto di Roma Sergio Colaiocco, in apertura dell’udienza, sottolineando la problematica relativa all’assenza degli imputati.
“Vogliono fuggire dal processo – ha spiegato – sono finti inconsapevoli”. “Qui non abbiamo una prova regina, una intercettazione telefonica. Ma ci sono almeno 13 elementi che dal 2016 a oggi, se messi insieme, fanno emergere che gli agenti si sono volontariamente sottratti al processo – ha sottolineato Colaiocco – E’ in atti anche un corposo dossier che raccoglie articoli di stampa, online, televisivi che hanno dato notizia del procedimento sulla morte di Giulio Regeni. Notizia che ha avuto eco in tutto il mondo”.
“La questione dell’assenza degli imputati è già stata affrontata dal giudice dell’indagine preliminare – ha ricordato – che ha ritenuto come l’assenza non dovesse bloccare il processo. La domanda è: perché gli imputati non sono presenti qui in questa aula, sono inconsapevoli o finti inconsapevoli? L’imputato ha diritto ad avere tutte le notifiche del processo ma anche il dovere di eleggere il proprio domicilio. L’Egitto su questo punto non ha mai risposto alla rogatoria italiana. In generale su 64 rogatorie inoltrate 39 non hanno avuto risposta. Abbiamo fatto quanto umanamente possibile per fare questo processo e sono convinto che oggi gli imputati sappiano che qui si sta celebrando la prima udienza”.