Costituzionalisti e trasloco di Draghi da Palazzo Chigi al Colle

Non avrebbe precedenti nella storia della Repubblica, l’elezione a presidente della Repubblica di un Presidente del Consiglio in carica, come è Mario Draghi, indicato da diversi attori politici come possibile nuovo inquilino del Quirinale.

Il trasloco da Palazzo Chigi al Colle, porrebbe alcuni quesiti inediti a livello di procedure istituzionali su cui i costituzionalisti danno talvolta indicazioni diverse.

“Se Draghi fosse eletto – spiega  Giovanni Guzzetta – formalmente fino al momento in cui non presta giuramento come Presidente della Repubblica, non vi sarebbe incompatibilità con la carica di premier.

Tuttavia, per ragioni di altissima opportunità sarebbe verosimile che si dimettesse, e quindi si applicherebbero le norme sul governo dimissionario che rimane in carica per il disbrigo degli affari correnti”. Le dimissioni di Draghi verrebbero accolte da Mattarella che è ancora nel pieno delle sue funzioni. Solo dopo il giuramento come Presidente della Repubblica, vista l’incompatibilità di questa carica con qualsiasi altra, Draghi decadrebbe da premier e, in base alla legge che regola l’attività del governo, la 400 del 1988, a Palazzo Chigi scatterebbe l’interim in favore del ministro più anziano, cioè Renato Brunetta, classe 1950.

Ma laddove non ci sono esplicite indicazioni nelle Costituzione o nella legge 400, e in cui non ci sono precedenti, gli studiosi danno interpretazioni e indicazioni diverse. Ad esempio secondo Fulco Lanchester, Draghi decadrebbe da Presidente del Consiglio nel momento stesso in cui venisse eletto Capo dello Stato e accettasse l’incarico, quindi già prima del giuramento, con il subentro ad interim di Brunetta.

Tuttavia, ricorda Salvatore Curreri, “diversi presidenti della Repubblica si sono dimessi prima del termine del proprio mandato, magari solo con qualche settimana di anticipo”. In tal caso la supplenza come Presidente della Repubblica prima della nomina del nuovo inquilino del Quirinale spetta alla Presidente del Senato, nelle cui mani Draghi si dimetterebbe una volta eletto Capo dello Stato.

Per prassi, o “per galateo istituzionale”, ricorda Curreri, il governo ogni volta che si insedia un nuovo presidente della Repubblica rimette il mandato nelle sue mani, e sempre per prassi tali dimissioni vengono respinte. In questa situazione, tuttavia, sottolineano Guzzetta, Curreri e Lanchester, le dimissioni del governo Brunetta verrebbero accolte da Draghi, che al quel punto aprirebbe le consultazioni, “che non è detto debbano concludersi con successo, con la nascita di una maggioranza parlamentare sufficiente a sostenere un nuovo governo”, osserva Lanchester.

Ma una variabile, sottolinea Marco Olivetti, è quella temporale, vale a dire a quale scrutinio verrebbe eletto Draghi al Quirinale. “Il mandato di Mattarella scade il 3 febbraio, quindi un mese prima il presidente della Camera è chiamato a convocare il Parlamento in seduta comune per eleggere il successore; immaginando dunque la convocazione del Parlamento verso il 15 gennaio, e l’elezione di Draghi tra il primo e il quarto scrutinio (quando la maggioranza scende a quella assoluta), a quel punto Draghi si dimetterebbe immediatamente nella mani di Mattarella che potrebbe gestire la crisi per la nascita di un nuovo governo. Si può presupporre che la maggioranza che ha eletto Draghi al Colle sia in grado di trovare una intesa anche sulla formula del nuovo governo e sul nome del nuovo Presidente del Consiglio, durante gli ultimi giorni del mandato di Mattarella.

Dopo l’affossamento del ddl Zan al Senato, i partiti cominciano a far di calcolo in vista della partita delle partite: l’elezione a febbraio del prossimo presidente della Repubblica che succederà a Sergio Mattarella, eletto il 3 febbraio 2015.

Saranno 1008 i Grandi Elettori che si riuniranno in seduta comune a Montecitorio.

Nelle prime 3 votazioni, a scrutinio segreto, serviranno i 2/3 dei voti dell’assemblea, pari a 673, dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta, pari a 505.

Ai 630 deputati e 320 senatori della XVIII legislatura si aggiungono per comporre il plenum dell’assemblea 58 delegati locali: in ogni Regione saranno scelti due esponenti per la maggioranza e uno per la minoranza, tranne in Valle d’Aosta dove ne sarà scelto soltanto uno. I delegati regionali non sono ancora stati eletti ma, stando a chi ha vinto le elezioni regionali, dovrebbero essere 33 al centrodestra e 24 al centrosinistra. L’elezione del prossimo presidente della Repubblica non si annuncia per niente semplice visto che nessuno dei due schieramenti ha la maggioranza assoluta per eleggere al quarto scrutinio il proprio candidato. E anche perchè questo Parlamento è nato sull’onda della grande vittoria M5S che però negli anni si è sbriciolato: basti pensare che i parlamentari 5s a inizio legislatura erano 338 e ora sono rimasti, tra cambi di casacche e nuovi gruppi, 233. Un gran numero di eletti quindi non risponde ad alcuna indicazione di partito ed è difficile darli per certi in un calcolo di maggioranze. Ecco i rapporti di forza, sulla carta, delle varie forze politiche:

CENTRODESTRA: può contare su 451 grandi elettori che fanno riferimento ai partiti dentro la coalizione: 197 sono della Lega, 127 di Fi, 58 di Fdi, 31 di Coraggio Italia-Cambiamo-Idea, 5 di Noi con l’Italia, ai quali si aggiungono i 33 delegati regionali.

CENTROSINISTRA CON M5S: Può contare su 420 voti se si esclude Iv, su 463 se si conteggia anche il partito di Renzi. Il Pd conta 133 grandi elettori (Gualtieri neo sindaco di Roma dovrà optare e quindi forse il suo seggio sarà vacante al momento dell’elezione del Colle), M5s ne ha 233, Leu 18, Azione-+Europa 5, Centro democratico di Bruno Tabacci ha 6 deputati. Questo blocco, ai quali si aggiungono i 24 delegati regionali, più Gianclaudio Bressa, iscritto al gruppo per le Autonomie ma eletto con il Pd, fa quota 420 che diventerebbe 463 se Italia Viva di Matteo Renzi con 43 elettori sostenesse il candidato di centrosinistra.

SENATORI A VITA: Per questa elezione del presidente della Repubblica sono 6: Giorgio Napolitano, Mario Monti, Liliana Segre, Elena Cattaneo, Renzo Piano, Carlo Rubbia.

AUTONOMIE: Il gruppo delle autonomie-minoranze linguistiche conta 4 deputati e 5 senatori, al cui gruppo a Palazzo Madama sono iscritti anche Gianclaudio Bressa (Pd), Pier Ferdinando Casini (Centristi per l’Europa) e i senatori a vita Cattaneo e Napolitano. GRUPPO MISTO: In questa legislatura il gruppo Misto di Camera e Senato è lievitato e mutato a secondo della nascita di nuove componenti: il gruppo più nutrito è la pattuglia ex M5s di Alternativa C’è che per le votazioni del Quirinale ha 19 grandi elettori, Azione-+Europa-Radicali (5), Centro Democratico (6 deputati), Maie (3 deputati, 3 senatori), FacciamoEco (3 deputati), Nci (5 deputati). Nel Misto al Senato c’è poi LeU (6) e tanti fuoriusciti M5s (24 alla Camera che risultano non iscritti a nessuna componente insieme all’ex Leu Michela Rostan mentre a Palazzo Madama sono nel misto 15 ex M5s, i 3 ex 5s ora Italexit e 1 ex 5s ora Potere al Popolo).

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