Mario Draghi continua ad aleggiare come un fantasma, silenzioso nella sua postazione di presidente del Consiglio, sulla corsa al Quirinale, per quanti sforzi abbiano fatto nelle ultime 48 ore nel centrodestra prima Silvio Berlusconi e poi Matteo Salvini, tra gli applausi del Giornale di famiglia del Cavaliere, di esorcizzarne la candidatura. “Troppo pericoloso sostituirlo a Palazzo Chigi”, ha detto il segretario della Lega dopo una telefonata a Berlusconi, e in difformità da Giorgia Meloni. Che stando all’opposizione non potrebbe certo condividere una valutazione così generosa del presidente del Consiglio, pur essendo disposta con i suoi fratelli d’Italia a sostenerne la corsa al Colle.
Non c’è incontro in cui il segretario del Pd Enrico Letta non si lasci scappare un accenno o una domanda a favore di Draghi al Quirinale o, in alternativa, come “massimo” desiderabile, di una conferma di Sergio Mattarella.,
Stefano Feltri, direttore di Domani, si è dilungato a raccontare e a spiegare “perché Draghi è il più adatto a prendere il posto di Sergio Mattarella se si guarda all’interesse degli italiani”. “Sa mediare – ha precisato – fra le forze politiche, ha prestigio internazionale e conosce a fondo la macchina dello Stato”, forse anche più di quanto non fosse stato attribuito ai suoi tempi a Giulio Andreotti.
Chissà, se fosse ancora in vita, per chi voterebbe Andreotti in questo turno – “muro contro muro” o al buio, come hanno titolato i giornali – di elezioni presidenziali. Presumo proprio per Draghi, che non era certamente sfuggito alla sua meticolosa attenzione prima di ministro e poi di presidente del Consiglio.
Già dopo l’estate si capiva come l’Italia si avviasse verso un nuovo travagliato passaggio. Un governo ampiamente tecnico affrontava con efficacia questioni fondamentali come contrasto alla pandemia e definizione degli investimenti connessi al Pnrr, però di fronte a ogni questione politica le decisioni, private della carta dell’emergenza che conteneva i diversi interessi e punti di vista, si aggrovigliavano. Il parlamento, poi, era in preda a un terribile sbandamento determinato dall’esplosione dei 5 stelle, forza di maggioranza relativa dopo il 2018, e dal commissariamento della politica nazionale dal 2011 in poi. L’appuntamento per il gennaio 2022 con l’elezione del presidente della Repubblica fissava la scadenza nella quale la crisi si sarebbe pienamente manifestata.
La “vera soluzione” è ancora in piedi ma il percorso per arrivarci è come previsto accidentato.
Il Centrodestra è schieramento con base sociale spesso insofferente ma definita. Il commissariamento della politica interrompendo la dialettica democratica ha creato vari guasti: una competizione per la leadership spesso con toni propagandistici, una questione Silvio Berlusconi che nessuno dei soggetti interessati affronta con l’intreccio tra rispetto e realismo richiesti, una maturazione della cultura politica rallentata.
Nei giorni in cui s’inizia a votare per la presidenza della Repubblica, che cosa ci si può augurare? Che l’evidente disperazione delle forze politiche crei consapevolezza di tutte le dimensioni della crisi in corso non solo determinata da pandemia ed esigenza di un nuovo sviluppo ma anche dalla crisi delle istituzioni. Per rispondere a questa triplice sfida ci vuole un saggio regista al Quirinale ma anche un parlamento rilegittimato. In situazioni tragiche si deve tener conto dell’insieme. Le forze che invocano la permanenza di Mario Draghi a Palazzo Chigi, ignorano che questo parlamento allo sbando in un anno pre-elettorale trascinerà a fondo qualsiasi tecnico per quanto super sia. Ecco perché bisogna dividere la questione in tre: scegliere un autorevole regista dal Colle cioè Draghi, fare un accordo bipartisan sulle questioni dell’emergenza (pandemia e investimenti del Pnrr) e sciogliere le camere con voto a giugno o al massimo a ottobre.
Nel frattempo il centrosinistra deve affrontare il nodo della sua configurazione (centrini, Pd e 5 stelle) usando anche il voto anticipato per disciplinarsi. E il centrodestra deve prefigurare un ruolo di prestigio per Berlusconi che lo risarcisca delle persecuzioni trentennali e presentare un ministro dell’Economia da proporre nei collegi uninominali che parli a quel mondo della finanza e dell’industria oggi preoccupati per il rapporto della politica italiana con i mercati globali.
Credibile la tesi, enunciata da La Stampa, sulla scorta delle indagini demoscopiche di Alessandra Ghisleri che gli italiani sarebbero fortemente tentati dall’idea del presidenzialismo? I risultati del sondaggio, per la verità, sembrerebbero confermarlo. A favore di quest’ipotesi si é espresso il 67,4 per cento del campione. Contro, in difesa pertanto dell’attuale sistema, il 24,5. Indeciso l’8,5 per cento del totale.
Tutto molto confuso. La sinistra era contraria alla candidatura di Silvio Berlusconi o di un qualsiasi esponente del centro destra? Sul fondatore di Forza Italia si poteva eccepire, considerando il ruolo da lui svolto nella vicenda politica italiana. Difficile riconoscere a un lottatore, come lui era stato, il tardivo ruolo di super partes, come richiesto al Capo dello Stato, dalla Costituzione vigente. Tuttavia l’opposizione, poteva comunque essere più rispettosa della persona, invece di assumere il tono di una condanna quasi morale.
Il passo indietro di Silvio Berlusconi ha comunque fatto avanzare la situazione e messo tutti di fronte alle proprie responsabilità. Scoprendo il fianco della sinistra. Secondo Enrico Letta non ci può essere un candidato del centro destra per la carica di presidente della Repubblica. Ergo l’opposizione nei confronti di Berlusconi era in larga misura strumentale. Sennonché la debolezza di questa posizione risulta evidente se solo si considera l’inevitabile contromisura dello schieramento opposto. Se non vi può essere un candidato di centro destra, per lo stesso motivo non v’è ne può essere uno di centro sinistra.
Visto che nessuno dei due schieramenti é in grado, da solo, di eleggere un proprio rappresentante, il risultato di questa maionese impazzita porta direttamente ad un candidato di centro. Che Matteo Renzi aveva da tempo individuato in Pier Ferdinando Casini.
Siamo di fronte ad un sistema politico che non regge più. Una scelta poco oculata del prossimo inquilino del Colle potrebbe essere il colpo finale.