La partita per il Quirinale ha cambiato gli equilibri interni di molti partiti, e dunque, della politica italiana per giunta quando mancano pochi mesi alle elezioni in programma nel 2023.
Ad uscirne con le osse rotta, il Movimento CinqueStelle. E se più di qualche avvisaglia si era palesata subito dopo la rielezione del Capo dello Stato, in scia alle schermaglie tra Conte e Di Maio, il colpo di grazia è arrivato quando il Tribunale di Napoli – a seguito di un ricorso – ha sospeso le due delibere con cui, lo scorso agosto, il M5s ha modificato il suo Statuto e introdotto la figura del presidente, ruolo poi affidato a Conte dagli iscritti. I provvedimenti – spiega l’ordinanza – sono stati sospesi per la sussistenza di “gravi vizi nel processo decisionale”. È stata giudicata illegittima l’esclusione dalla votazione degli iscritti da meno di sei mesi.
E se Conte si affretta a precisare che “non sono le carte a la leadership, ben diversa la posizione di Beppe Grillo. Le sentenze – scrive – si rispettano. La situazione, non possiamo negarlo, è molto complicata. In questo momento non si possono prendere decisioni avventate. Promuoverò un momento di confronto anche con Giuseppe Conte. Nel frattempo, invito tutti a rimanere in silenzio e a non assumere Iniziative azzardate prima che ci sia condivisione sulla strada da seguire.
Non vanno meglio le cose nel centrodestra. Salvini – che sente il fiato sul collo di Giorgia Meloni che, nel frattempo, continua a raccogliere i consensi persi per strada dal Leader della Lega – prova a recuperare il terreno perso.
Vanno un po’ meglio le cose nel Centrosinistra ma qualora il Movimento Cinquestelle implodesse definitivamente che ne sarà della solida alleanza Conte-Letta?
Lega e Movimento 5 stelle, i trionfatori delle elezioni del 2018, i protagonisti di quella maggioranza gialloverde che per un attimo minacciò di portarci fuori dall’euro, mettere in stato d’accusa Sergio Mattarella e trascinarci a passo di carica verso la bancarotta economica e civile, nel breve volgere di una legislatura, appaiono agonizzanti.
Parliamo di due coalizioni illiberali, un centrosinistra populista e un centrodestra sovranista con Enrico Letta che voleva portare Mario Draghi al Quirinale per correre alle elezioni anticipate con il suo sistema maggioritario, o con qualunque cosa tenga in piedi il bipolarismo di coalizione in asse con Meloni, ormai convinta di poter guidare il centrodestra e arrivare così direttamente a Palazzo Chigi.
La rielezione di Mattarella ha riaperto la strada opposta con la stabilizzazione del governo Draghi e l’emarginazione dei contrapposti populismi che vede ancora al centro il Parlamento, l’autonomia e l’indipendenza di ogni rappresentante del popolo che potrà mettere il bipopulismo nell’angolo con una legge elettorale proporzionale che metta fine alle coalizioni pre-elettorali, restituendo al Parlamento la centralità perduta anche in materia di formazione dei governi.
Il proporzionale chiama le preferenze, è impensabile fare il proporzionale senza preferenze.
Il Pd dovrà scegliere se fare una campagna elettorale riformista o massimalista. La domanda va fatta a Letta, se vuole seguire il profilo riformista o Landini, la Cgil e i populisti grillini. Il Movimento 5 stelle è destinato all’implosione e l’intenzione del Pd sarà quella di seguire la Cgil e non i 5 stelle. Nella vicenda del Quirinale con il Pd c’è stata la vittoria del fronte riformista contro il fronte populista con l’elezione di Mattarella.
Al Nazareno, il quartier generale del Pd, sono preoccupati per la possibile implosione del Movimento 5 stelle, che in effetti è l’unico alleato che in diversi anni il Partito democratico sia stato in grado di racimolare, la base per edificare quel Nuovo Ulivo che sta solo nei sogni notturni di Enrico Letta e di Romano Prodi ma non nella realtà politica e sociale.
Stando così le cose, va capito l’imbarazzo degli uomini del segretario Enrico Letta. Ora che il M5s sta irrimediabilmente scivolando verso il 10 per cento il Pd avrebbe la concreta possibilità di intercettare i voti in libera uscita se solo facesse politica nel senso di avanzare proposte forti al Paese che non sia la battaglia sui regolamenti parlamentari dicendo agli elettori del Movimento che si sono sbagliati, non era quello il cavallo della buona politica né tantomeno la chiave per svecchiare il Paese.
Conte avallò senza problema i salviniani divieti di sbarco per centinaia di immigrati salvo poi allearsi senza battere ciglio con la sinistra pur di mantenersi ben a galla nel lago del potere, quell’avvocato del popolo che nei giorni del Quirinale ha provato a ricostruire la vecchia intesa col capo leghista senza farsi scrupolo di gettare nella mischia nientemeno che il capo dei servizi segreti.
Il Pd dovrebbe prendere le distanze dai rantoli di un Movimento finito e voltare pagina dimenticando di aver pensato a un’alleanza strategica con i pentastellati.
Il dissolvimento dei più elementari presupposti della politica si nota in ogni dettaglio. Il dibattito interno alla Lega, per esempio, dopo la sbalorditiva prova quirinalizia, si concentra davanti a un bivio: Matteo Salvini dovrà contribuire alla ricostruzione di un patto di centrodestra, con berlusconiani e meloniani, o dovrà condurlo in prossimità della maggioranza conservando un’idea maggioritaria della legge elettorale e coltivando la prosecuzione del bipolarismo. Diversamente dovrà prendere in considerazione un ritorno al proporzionale che lo svincoli dagli obblighi di fedeltà con i sovranisti italiani ed europei.