Al di là delle singole azioni che porteranno avanti Putin, Biden e l’Unione europea, la crisi ucraina ha già fatto salire il prezzo del petrolio e del gas, così come quello di alcuni metalli chiave utilizzati per tantissime attività, dalla produzione di auto all’elettronica, dagli utensili da cucina all’edilizia.
Oltre al profilo meramente geopolitico, con evidenti ripercussioni in termini sociali, una guerra Russia-Ucraina, anche di breve durata o intensità, provocherebbe un ulteriore massiccio aumento dei prezzi, soprattutto del petrolio e del gas, e soprattutto in Europa.
Ora, dopo aver annunciato il ritiro delle truppe schierate al confine, il presidente russo Vladimir Putin ha già vinto sul fronte diplomatico, dimostrando di essere ancora una volta determinante nelle relazioni tra Occidente e Oriente, e più in generale tra due parti di mondo che da sempre faticano a parlarsi, tentando di spartirsi zone di influenza sempre più ampie.
Come ha spiegato l’esperto di geopolitica e direttore di Limes Lucio Caracciolo in un’intervista a La Stampa, “Putin ha raggiunto l’obiettivo di tornare a essere considerato un interlocutore con cui gli Usa devono trattare, e ha rimesso in pista un negoziato russo-americano per gli assetti strategici globali e l’architettura della sicurezza in Europa. Destabilizzando l’Ucraina, si è garantito che questa non entrerà nella NATO“.
Ha riaffermato quindi – se mai le menti dei governanti occidentali fossero un po’ offuscate – il principio che la Russia è una grande potenza: con un sostanziale colpo di Stato in Kazakhstan, riportandolo sotto il suo controllo, ed espandendo la sua influenza in Africa, “ha riaperto tutte le partite della sicurezza globale“.
L’Ucraina riveste un ruolo importante e strategico per ragioni prettamente economiche. Il suo territorio è grande oltre 603mila chilometri quadrati, praticamente il doppio dell’Italia e possiede ingenti risorse naturali:
1° in Europa per comprovate riserve recuperabili di minerali di uranio;
2° posto in Europa e 10° posto nel mondo in termini di riserve di minerale di titanio;
2° posto al mondo in termini di riserve esplorate di minerali di manganese (2,3 miliardi di tonnellate, ovvero il 12% delle riserve mondiali);
2a più grande riserva di minerale di ferro al mondo (30 miliardi di tonnellate);
2° posto in Europa per riserve di minerale di mercurio;
3° posto in Europa (13° posto nel mondo) per riserve di shale gas (gas da argille, 22 trilioni di metri cubi)
4° al mondo per valore totale delle risorse naturali;
7° posto al mondo per riserve di carbone (33,9 miliardi di tonnellate)
L’Ucraina è anche un grande Paese agricolo, tanto che è in grado di soddisfare il fabbisogno alimentare di 600 milioni di persone:
1° in Europa per superficie a seminativo;
3° posto al mondo per superficie di suolo nero (25% del volume mondiale);
1° posto al mondo nelle esportazioni di girasole e olio di girasole;
2° posto al mondo nella produzione di orzo e 4° posto nelle esportazioni di orzo;
3° produttore e 4° esportatore di mais al mondo;
4° produttore mondiale di patate;
5° produttore di segale al mondo;
5° posto al mondo per produzione di api (75mila tonnellate);
8° posto nel mondo nelle esportazioni di grano;
9° posto al mondo nella produzione di uova di gallina;
16° posto nel mondo nelle esportazioni di formaggi.
L’Ucraina è un Paese fortemente industrializzato:
1° in Europa nella produzione di ammoniaca;
4° sistema di gasdotti naturale più grande d’Europa al mondo (142,5 miliardi di metri cubi di capacità di flusso di gas nell’UE);
3° in Europa e 8° al mondo per capacità installata di centrali nucleari;
3° posto in Europa e 11° nel mondo per lunghezza della rete ferroviaria (21.700 km);
3° posto al mondo (dopo Stati Uniti e Francia) nella produzione di localizzatori e apparecchiature di localizzazione;
3° esportatore di ferro al mondo
4° esportatore mondiale di turbine per centrali nucleari;
4° produttore mondiale di lanciarazzi;
4° posto al mondo nelle esportazioni di argilla
4° posto al mondo nelle esportazioni di titanio
8° posto nel mondo nelle esportazioni di minerali e concentrati;
9° posto nel mondo nelle esportazioni di prodotti dell’industria della difesa;
10° produttore di acciaio al mondo (32,4 milioni di tonnellate).
La Russia in caso di guerra con l’Ucraina potrebbe rimetterci. Poi, l’impatto sui prezzi potrebbe essere ancora più grave.
Le conseguenze sulle risorse naturali
Mosca fornisce circa il 30% del petrolio europeo e il 35% del suo gas naturale, che vedrebbe interrotto in caso di conflitto.
Gli analisti ritengono che ciò potrebbe far salire i prezzi del petrolio dai livelli già elevati di circa 90 dollari al barile a 125, con i prezzi del gas a seguire ancora più alti.
Le conseguenze sull’agricoltura
Anche altre materie prime chiave sarebbero colpite, essendo la Russia il più grande coltivatore di grano del mondo e l’Ucraina tra i primi 5 come abbiamo visto.
Anche la grande produzione di orzo, mais, girasole e colza potrebbe risentirne. Mentre altri Paesi riuscirebbero probabilmente a compensare parte delle perdite di approvvigionamento, ci si potrebbe però trovare di fronte a un altro enorme problema: la mancanza di fertilizzanti.
Il 23% di ammoniaca, il 17% di potassio, il 14% di urea e il 10% di fosfati vengono spediti dalla Russia. In un momento in cui la Cina ha già riservato gran parte della sua produzione di urea e fosfati per uso domestico, la perdita dei prodotti russi comporterebbe ulteriori carenze e aumento dei prezzi degli ingredienti chiave dei fertilizzanti.
Le conseguenze sull’industria
Anche le catene di approvvigionamento manifatturiere non sarebbero al riparo. La quota della Russia sulle esportazioni mondiali di nichel è stimata in circa il 49%, quella di palladio 42%, alluminio 26%, platino 13%, acciaio 7% e rame 4%.
La rimozione della metà delle esportazioni globali di nichel da utensili da cucina, telefoni cellulari, apparecchiature mediche, trasporti, edifici ed elettricità, palladio per convertitori catalitici, elettrodi ed elettronica, e un quarto di alluminio per veicoli, edilizia, macchinari e imballaggi si tradurrebbe in enormi pressione al rialzo sui prezzi.
Le conseguenze sulla finanza
Sul fronte finanziario, la guerra o le pesanti sanzioni potrebbero spingere al rialzo i prezzi delle obbligazioni e abbassare i tassi di interesse.
Un’estensione del periodo di tassi di interesse bassi potrebbe aiutare ad arrestare la recente svendita del mercato, sebbene la compensazione attraverso un conflitto, caldo o freddo, che coinvolga Russia, Ue, Stati Uniti e potenzialmente anche la Cina, e le interruzioni dell’approvvigionamento globale causato dal conflitto, potrebbe superare di gran lunga il vantaggio di tassi più bassi, più a lungo”.
Sul fronte valutario, si prevede che il dollaro USA, lo yen giapponese, il franco svizzero e l’oro possano diventare i punti di riferimento in caso di conflitto. Il rublo russo crollerebbe e anche l’euro verrebbe molto probabilmente colpito, con effetti potenzialmente incontrollabili.
E’ il cancelliere Olaf Scholz in persona a tenere i colloqui per la Germania sperando di aprire uno spiraglio di intesa. Al Cremlino si è intrattenuto per oltre tre ore con Vladimir Putin. Come sempre in questi caso, le parole chiave vanno ricercate più nel non-detto che in quelle pronunciate. È il caso di Putin: «Non accetteremo mai l’allargamento della Nato fino ai nostri confini, è una minaccia che noi percepiamo chiaramente». Per poi aggiungere: «Le risposte dell’Alleanza sulla sicurezza finora non soddisfano le nostre richieste, ma ci sono dei ragionamenti che possono essere portati avanti».
In Ucraina vivono molti russofili, persone che si sentono russe a tutti gli effetti. L’Ucraina è la finestra della Russia sull’Europa. Se entrasse a far parte della NATO non esisterebbe più un territorio neutrale tra le superpotenze. E la NATO potrebbe installare basi e armi a pochi chilometri dal confine con la Russia.
La Russia, in base a quanto emerso, chiede che le truppe americane lascino i territori entrati nella NATO dopo il 1997, che rappresenta un anno chiave. Da quel momento infatti la NATO ha guadagnato terreno a Est accogliendo molte di quelle che un tempo furono Repubbliche dell’Unione Sovietica.
La seconda richiesta di Putin è che gli Stati Uniti e la comunità occidentali riconoscano l’annessione della Crimea e che la considerino a tutti gli effetti territorio della Russia. Al momento il territorio è in una fase di limbo. Praticamente è parte della Russia, ufficialmente in pochi lo riconoscono.
È chiaro che la parola chiave è, appunto “ragionamenti. Il cancelliere ha in mano buone carte per tentare la mediazione vincente. A patto che le giochi con avvedutezza, cioè senza insospettire gli Usa, sempre diffidenti quando di mezzo c’è la Germania. È il motivo per cui Scholz non ha usato toni particolarmente felpati nei confronti di Mosca. Per esempio quando ha bollato come «catastrofe politica» il riconoscimento dell’indipendenza delle repubbliche separatiste di Lugansk e Donetsk, nel Donbass. La Duma (il parlamento russo) ha già approvato mozioni in tal senso. Scholz ha esortato Putin a non darvi seguito: «Significherebbe – ha spiegato – mettere fine al processo di Minsk».
Una prima traccia dei “ragionamenti” evocati da Putin evidenziano le seguenti parole: «Siamo pronti insieme ai nostri partner e alleati nella Ue e nella Nato e con la Russia per discutere ogni passo concreto per migliorare la sicurezza per entrambe le parti o anche meglio, per la nostra sicurezza comune». Concetto ribadito successivamente quando Scholz ha annunciato l’obiettivo di «migliorare reciprocamente la sicurezza comune di Nato e Russia». Per poi aggiungere, subito dopo, che «un’aggressione militare dell’Ucraina avrebbe conseguenze strategiche e politiche. La mia impressione – ha concluso – è che tutti lo sappiano».