Referendum su eutanasia e cannabis bocciati dalla Corte Costituzionali perchè inammissibili

Settimana impegnativa per la Corte Costituzionale in materia di referendum. La Consulta ha approvato cinque quesiti referendari, e ne ha dichiarato inammissibili altri tre, con non poche polemiche da parte dei comitati promotori. A scatenare la bufera sono state in particolare le bocciature al referendum sulla legalizzazione della cannabis e quello sull’eutanasia. Due proposte che avevano in breve tempo conquistato i riflettori e macinato consensi, con il raggiungimento in tempi record e il superamento del numero necessario di forme per l’approvazione.

In primavera, probabilmente già ad aprile, gli italiani saranno chiamati alle urne per votare cinque quesiti che riguardano la riforma della giustizia e riguardano i seguenti ambiti.

  • Incandidabilità.
  • Custodia cautelare.
  • Separazione delle carriere di pm e giudici.
  • Elezioni del Csm.
  • Consigli giudiziari.

Bocciato invece il quesito che riguardava la responsabilità civile dei magistrati. Come ha spiegato Giuliano Amato, presidente della Corte Costituzionale, una regola fondamentale per i magistrati è quella della responsabilità indiretta. L’introduzione della responsabilità diretta non sarebbe stata possibile attraverso un referendum abrogativo.

Il primo quesito prevede l’abolizione del Testo unico contenente le disposizioni in materia di incandidabilità previsto da un decreto attuativo della Legge Severino. Questo impedisce la partecipazione alle elezioni europee, politiche, regionali e amministrative di chi è stato condannato in via definitiva per mafia, terrorismo, corruzione e altri reati gravi.

Al centro delle richieste dei promotori del referendum, come la Lega e i Radicali, c’è in particolare l’articolo 11, che prevede la sospensione dagli incarichi degli amministratori locali dopo la condanna di primo grado per alcuni reati.

Il secondo quesito prevede l’abrogazione di una parte dell’articolo 274 del Codice penale. In questo modo verrebbe ridotta la lista di reati per i quali è possibile disporre misure cautelari come la carcerazione preventiva.

Tra questi anche il finanziamento illecito ai partiti e i reati puniti con la reclusione non inferiore ai 5 anni, a meno che non ricorra il pericolo di fuga dell’indagato o di inquinamento delle prove.

Il sì al quesito prevede la separazione delle carriere dei magistrati, con lo “stop alle porte girevoli per ruoli e funzioni”. Il magistrato dovrà scegliere a inizio carriera se diventare pm o giudice. Oggi sono possibili quattro passaggi, ridotti a due con la riforma.

Il quesito propone di cancellare la norma che stabilisce che le candidature debbano essere sostenute da almeno 25 firme. Verrebbe dunque introdotta l’autocandidatura, già prevista tra l’altro dalla riforma Cartabia.

L’altro quesito approvato è quello che riguarda il voto degli avvocati dei Consigli giudiziari sulle valutazioni di professionalità dei magistrati. La ratio è quella di avere una più equa valutazione dei magistrati, che oggi sono valutati solo da pari rango.

Come già detto, la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum che prevedeva la depenalizzazione della coltivazione della cannabis. Alla base della bocciatura c’è un vizio di forma, che avrebbe potuto aprire la strada ad altre tipologie di traffici di sostanze stupefacenti.

Il quesito referendario proponeva l’abrogazione di alcune parti del Testo Unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope. La modifica principale riguardava l’articolo 73, comma 1, con la depenalizzazione della coltivazione delle droghe.

Di fatto sarebbe stata legalizzata solo la produzione della cannabis, l’unica sostanza stupefacente e psicotropa che non necessita di altri passaggi oltre alla coltivazione per il consumo. Per la Corte Costituzionale però, si sarebbe potuto creare un precedente per la violazione degli obblighi internazionali per via della coltivazione di altre piante da cui si producono invece droghe pesanti, come eroina e cocaina.

La Consulta ha anche dichiarato inammissibile il quesito sull’eutanasia. Secondo quanto riferito da Giuliano Amato, infatti non sarebbe stata preservata la “tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana”.

Per come sarebbe stato posto, infatti, il quesito avrebbe riguardato l’omicidio legale. A essere abrogato sarebbe stato infatti l’articolo 579 del Codice Penale che regola l’omicidio del consenziente. Il presidente della Corte Costituzionale ha sottolineato che questo sarebbe stato lecito “in casi ben più numerosi e diversi da quelli dell’eutanasia”.

Da parte dei comitati promotori sono arrivati messaggi di delusione e anche l’invito alle dimissioni per il presidente della Consulta, che avrebbe agito in maniera “politica”, come dichiarato da Marco Cappato, attivista che ha portato avanti le campagne di raccolta firme per i due referendum. Alle critiche lo stesso Giuliano Amato ha risposto parlando di “quesiti mal formulati”.

Ma non è tutto perduto. L’impressionante numero di firme raccolte ha infatti posto sotto i riflettori due temi che, evidentemente, sono importanti per un gran numero di persone. Mostrando però i limiti del nostro ordinamento, che prevede che l’iniziativa referendaria di cittadini e Regioni sia limitata solo al dispositivo del reerendum abrogativo che può solo cancellare leggi già approvate, e non legiferare su temi che non sono stati ancora affrontati dal Parlamento.

Ed è proprio al Parlamento che ora guardano i comitati promotori del referendum sulla depenalizzazione della coltivazione della cannabis legale e della depenalizzazione dell’omicidio del consenziente, e lo stesso Giuliano Amato, che ha invitato la politica a intervenire sulle materie. Il clamore mediatico potrebbe spingere, finalmente, deputati e senatori a discutere ancora una volta del tema della legalizzazione delle droghe leggere e del testamento biologico, del fine vita e infine della legalizzazione dell’eutanasia.

Argomenti che per troppo tempo sono rimasti fuori dai palazzi del potere e che però stanno a cuore a milioni di cittadini, che chiedono nuovi interventi da una parte per fermare il narcotraffico e le mafie, dall’altra per pianificare la propria sorte in caso di malattie fortemente invalidanti o incidenti gravi.

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