Si torna a parlare di pensioni e di uscita anticipata, questa volta spunta fuori – di nuovo – una nuova misura che riconoscerebbe l’assegno ai lavoratori al raggiungimento dei 64 anni di età
Si torna a parlare di pensioni anticipate e di riforme del sistema previdenziale. L’ultima ipotesi al vaglio del Governo prevede l’uscita anticipata dal lavoro all’età di 64 anni, con più flessibilità per i requisiti di accesso ma l’introduzione di alcune penalità.
Pensione anticipata a 64 anni: la nuova uscita con penalità (bocciata dai sindacati)
L’approvazione della cd. Quota 102 permette oggi ai lavoratori, in possesso dei requisiti richiesti (qui le istruzioni Inps), di andare in pensione prima del tempo, ovvero: non al raggiungimento dei 67 anni – età fissata per la pensione di vecchiaia – ma di 64 anni.
La misura, introdotta in via sperimentale, è probabilmente destinata a scadere una volta decorsi i termini. Proprio come successo con Quota 100, infatti, il Governo è già al lavoro sulle prossime misure e su nuovi metodi di uscita anticipata dal lavoro. L’intenzione palesata, in vista dell’incontro con i sindacati del 15 febbraio, è stata quella di riconoscere la pensione in anticipo al raggiungimento dei 64 anni di età, con maggiore flessibilità per quanto riguarda i requisiti di accesso ma un ricalcolo contributivo.
Tale soluzione, però, non è stata accolta con entusiasmo dai rappresentanti sindacali, che hanno parlato di una vera e propria “penalità” che andrebbe a svantaggio di molti – troppi – lavoratori.
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In pensione a 64 anni: come funziona il nuovo calcolo contributivo
La proposta su cui ha lavorato il Governo, quindi, ammette la possibilità di uscita dal lavoro anticipata a 64 anni solo attraverso un ricalcolo contributivo dell’assegno. Escluse le forme di anticipo pensionistico destinate a lavoratori precoci e/o addetti a lavori usuranti (qui tutte le opzioni valide nel 2022), sarebbe riconosciuta una maggiore flessibilità di accesso – probabilmente rivedendo i requisiti per l’invio delle domande – ma anche (come già accennato) un intervento sugli importi poi erogati dall’Inps.
In pratica, lo Stato riconoscerebbe la pensione anticipata, ma in cambio il contribuente dovrebbe rinunciare a una parte dell’importo.
Niente di nuovo sotto il sole, non è la prima volta infatti che un meccanismo simile viene proposto e approvato. Tuttavia, quello su cui i sindacati sono stati intransigenti è il metodo di calcolo dell’assegno. L’ipotesi è stata infatti bocciata da Cgil, Cisl e Uil.
Secondo il segretario confederale della Cgil, Roberto Ghiselli, in questo modo un lavoratore perderebbe fino al 30% dell’importo: un taglio della pensione che, anche riconosce l’anticipo più facilmente e allarga la platea dei beneficiari, è stato definito comunque “inaccettabile”.
“È significativo che il governo riconosca che bisogna introdurre una flessibilità nell’età di accesso alla pensione – ha dichiarato invece il segretario confederale Uil Domenico Proietti -. Giudichiamo però sbagliata l’idea di legare questa flessibilità al ricalcolo contributivo”.
Pensione anticipata a 64 anni: la soluzione proposta
La posizione dei sindacati, quindi, è stata netta ma chiara. I rappresentanti dei lavoratori, infatti, non hanno escluso del tutto il ricalcolo contributivo, né la misura così come presentata dall’Esecutivo. Per questo motivo si sono detti aperti a ridiscutere le modalità di accesso alla stessa.
Una proposta, per esempio, è stata avanzata da Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, secondo cui sarebbe opportuno mantenere lo schema di Quota 102, rivedendolo solo in parte. In questo senso, dovrebbero restare fermi i requisiti di accesso (ovvero 64 anni di età e 38 di contributi versati), aggiornandoli in un secondo momento tenendo conto dei dati sull’aspettativa di vita ma con il calcolo dell’assegno interamente con il sistema contributivo
Secondo Brambilla, con un coefficiente di riposizionamento sull’assegno pari 3% l’anno “con tre anni di anticipo si perderebbe circa il 10% dell’importo che si avrebbe uscendo a 67 anni”. Un compromesso su cui si potrebbe trovare un punto di incontro, poiché probabilmente più accettabile rispetto al 30% in meno che invece si andrebbe a prendere con l’assegno pensionistico proposto dal Governo durante l’incontro del 15 febbraio.