“Dal 2004 al 2021, secondo una elaborazione su dati Istat, la percentuale di donne occupate sul totale è passata dal 39,3% al 42,3%.” Lo dice Cesare Damiano, già ministro del Lavoro e presidente di Lavoro&Welfare, a proposito del Report predisposto da Bruno Anastasia per la stessa associazione. “Si tratta – spiega – di ben 3 punti percentuali di aumento.
Questo andamento in crescita non è sfuggito al calo del 2020, anno segnato dal lockdown, nel quale la penalizzazione dell’occupazione stagionale e di quella a termine ha particolarmente colpito la componente femminile. Per leggere correttamente questi dati, però, occorre considerare con attenzione la loro qualità. Abbiamo affermato in precedenza come incida, particolarmente sull’occupazione femminile, il lavoro stagionale e a termine: quest’ultimo pesa, mediamente, per il 17% sul totale degli occupati: di più sulle donne. Stesso discorso vale per il part-time che viene in molti casi scelto dalle lavoratrici e in molti altri imposto dai datori di lavoro e che pesa notevolmente anch’esso, sul complesso della occupazione: circa il 30% nei settori industriali e dei servizi. Quello che è accaduto nei due anni di pandemia ha sollevato un velo di ignoranza: i lavori di cura sono a carico delle donne anche quando lavorano per il mercato. Occorrono, dunque, azioni di riequilibrio.”
“Per concludere: è evidente che la crescita della percentuale di occupazione femminile va salutata positivamente ma, al tempo stesso, non va dimenticato che il 42% rappresenta una delle percentuali più basse tra i Paesi europei; non va sottovalutato il fatto che una quota importante dell’occupazione femminile riguarda lavori a termine, stagionali e part time: di minore qualità, di più bassa retribuzione e/o di maggiore precarietà. La battaglia per una parità effettiva è ben lungi dall’essere vinta”, conclude.
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