Mentre l’Ue impone il sesto pacchetto di sanzioni alla Russia, fra cui l’embargo progressivo al petrolio di Mosca, il ‘No’ dell’Ungheria e le possibili ricadute sulle economie europee in caso di rinuncia al gas di Putin creano apprensioni nell’Unione. Perché le ricadute econimiche e sociali, soprattutto in paesi dipendenti come Germania e Italia, sarebbero tutt’altro che semplici da gestire. Fino alla concreta possibilità di gas razionato per imprese e soprattutto famiglie.
Tra gli scenari contenuti nell’ultimo Documento di economia e finanza del governo, ce n’è uno in cui si ipotizza per l’Italia lo stop degli approvvigionamenti di gas e petrolio dalla Russia. Si stima una carenza pari al 18% delle importazioni complessive nel 2022 e al 15% nel 2023. Il primo effetto è il razionamento, e il conseguente aumento del prezzo.
Dai circa 100 €/MWh di fine marzo si potrebbero superare i 220 €/MWh tra novembre 2022 e febbraio 2023. Quindi un ulteriore rialzo a catena dei prezzi, che impatta sulle attività economiche, sui consumi, sull’occupazione. L’inflazione vola a quota 7,6%, e a fine anno la crescita del Pil si attesterebbe sullo 0,6%, e nel 2023 allo 0,4%.
Al momento le previsioni del governo si fermano qui, ma gli economisti hanno già ben chiare quali sarebbero le ricadute pratiche e tangibili di questo scenario. Partendo dal Prodotto interno lordo, quest’anno il nostro Paese ha già accumulato 2,2 punti di crescita sulla media del 2021; questo significa che chiudere il 2022 con un +0,6% di media vorrebbe dire perdere nella seconda metà dell’anno tutto il vantaggio accumulato.
L’Italia rischia seriamente di avere diversi trimestri con segno negativo, con il timore fondato di un crollo del Pil nella seconda metà di quest’anno del 2,5%. Uno shock che comporterebbe la perdita di 1,3 punti percentuali di occupazione nel 2022 e di 1,2 punti nel 2023. In concreto: circa 293 mila persone perderebbero il posto di lavoro quest’anno e altri 272 mila l’anno prossimo.
Servono sei mesi per raggiungere il 90% stoccaggio necessario a superare il prossimo inverno “con una certa tranquillità”, spiega il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, sottolineando che uno stop oggi alle forniture dalla Russia “renderebbe la situazione critica in assenza di rilevanti misure di contenimento della domanda”.
Il traguardo a cui guardare per sostituire le importazioni da Mosca è la fine del 2024. Grazie anche ai risparmi con l’incremento delle rinnovabili per 0,7 miliardi di metri cubi e altri 2 miliardi previsti dal taglio di un grado alle temperature di riscaldamento e condizionamento. Il Mite calcola poi che un price cap al gas a 80 euro taglierebbe la bolletta del gas del 25% e ancora di più quella della luce.
“L’interruzione a maggio delle forniture di gas dalla Russia renderebbe critico il superamento del prossimo inverno” – prosegue Cingolani -. Il problema, infatti, sono gli stoccaggi. Se sono vuoti, non è possibile rifornire con regolarità famiglie e imprese. In quest’ ipotesi, come ultima carta da giocare rimarrebbe il razionamento. Un blocco immediato dei flussi di gas, infatti, non sarebbe gestibile “in assenza di rilevanti misure di contenimento della domanda, che ovviamente sono previste” ha aggiunto Cingolani durante un’audizione alla Camera.
I cardini della strategia italiana per affrancarsi dal gas russo sono tre. Li ha esposti lo stesso Cingolani a Repubblica: “Il primo è aumentare il gas che arriva in Italia attraverso i gasdotti: per esempio solo dall’Algeria nell’arco di tre anni ci sarà un aumento del gas importato di 9 miliardi di metri cubi. Poi puntiamo sull’aumento del gas liquefatto che arriva da noi via nave: grazie agli accordi con Algeria, Angola, Congo e Qatar, il gas liquefatto importato aumenterà di 1,5 miliardi di metri cubi quest’anno per arrivare a regime, nella seconda metà del 2024, a 12,7 miliardi di metri cubi”.