Nonostante le rinnovate intese sulla fedeltà atlantica e l’amicizia reciproca, il presidente italiano porta in America lo stesso messaggio del francese Macron: agli Usa interessa la guerra, all’Europa la pace.
In pochi se l’aspettavano, e forse in pochi l’hanno colto, ma la missione americana di Mario Draghi è stata molto meno ‘allineata’ di quanto non ci si aspettasse da uno dei premier europei più schierati in senso atlantico e fin qui meno critici con la Nato e gli Usa. Dopo la forte presa di posizione di Macron a Strasburgo, infatti, Draghi ha rinsaldato il legame e l’amicizia con gli Usa ma ha voluto a sua volta ‘smarcare’ la posizione dei paesi europei da quella americana. Se gli Usa vogliono andare avanti fino al rovesciamento di Putin, quindi, gli europei spingono invece per la ricerca di uno spiraglio che possa portare ad un negoziato, lasciando una via d’uscita al leader russo. Interessi coincidenti, ma fino a un certo punto.
“Siamo d’accordo sul sostegno all’Ucraina e sulle pressioni su Mosca, ma occorre anche chiedersi come si costruisce la pace. Inizialmente era una guerra in cui si pensava ci fossero un Golia e un Davide. Oggi non c’è più un Golia”. Il premier Mario Draghi si è espresso così in conferenza stampa a Washington dopo l’incontro con Biden.
“Ringrazio Biden e l’amministrazione Usa per l’accoglienza splendida. L’incontro è andato molto bene, Biden ha ringraziato l’Italia, un partner forte, affidabile, un interlocutore credibile. Io ho ringraziato Biden per il ruolo di partnership che sta avendo in questa crisi” e di confronto “con tutti gli alleati. Siamo d’accordo sul sostegno all’Ucraina e sulle pressioni su Mosca, ma occorre anche chiedersi come si costruisce la pace. Il percorso negoziale è difficile, il primo punto è come costruirlo”, dice Draghi.
“La guerra ha cambiato fisionomia. Inizialmente era una guerra in cui si pensava ci fossero un Golia e un Davide, sembrava una guerra di difesa disperata. Oggi il panorama si è capovolto, non c’è più un Golia. Quella che sembrava una potenza invincibile, sul campo non si è dimostrata tale almeno con le armi convenzionali”.
“Quali obiettivi ci si propone da entrambe le parti? Che tipo di pace si vuole? Prima ancora di arrivare a questo punto, c’è uno sforzo che occorre fare e che devono fare in particolare Russia e Stati Uniti: bisogna sedersi ad un tavolo, ci vuole un tavolo con tutti e l’Ucraina è l’attore principale. Bisogna togliere il sospetto che si arrivi ad una pace imposta che fa comodo agli Usa, agli europei e ai russi ma non è accettabile dagli ucraini. Questa è una ricetta per arrivare al disastro perché a quel punto la pace non sarà credibile e verrà tradita ogni momento”, dice il premier. “Il percorso negoziale è molto difficile ma il primo punto è come costruire questo percorso negoziale, deve essere una pace che vuole l’Ucraina, non una pace imposta da altri né tantomeno dagli alleati. Il presidente Zelensky deve definire cos’è la vittoria, non noi”.
Nell’incontro con il presidente degli Stati Uniti, è stato affrontato anche il tema relativo all’energia e in particolare al gas. “A Biden ho presentato e descritto anche l’esigenza di prendere decisioni e provvedimenti per affrontare il problema dei prezzi dell’energia, che è iniziato prima della guerra e poi si è acuito. La cosa fondamentale è che si è venuta ad aggravare un anno e mezzo prima della guerra. E’ una situazione che va affrontata insieme, l’Italia è molto attiva nel diminuire la dipendenza da gas”.
“Ho ricordato a Biden il tema della possibilità di introdurre un tetto a prezzo del gas, ipotesi accolta con favore anche se l’amministrazione Usa sta riflettendo più su un tetto al prezzo del petrolio che del gas, si è deciso che ne riparleremo presto insieme. Non c’è alcuna dichiarazione ufficiale che i pagamenti violino le sanzioni, quindi” quella del pagamento in rubli “è una zona grigia”, prosegue rispondendo ad un’altra domanda. Draghi si dice “fiducioso”, osservando anche come “il più grande importatore, la Germania, ha già pagato in rubli e la maggior parte degli importatori di gas hanno già aperto dei conti in rubli”.
“Al momento non ci sono segnali che Mosca voglia trattare”, ha sibilato la portavoce della Casa Bianca subito dopo l’incontro. Segno che a Washington non hanno preso benissimo l’inversione a U dell’Italia, fedelissimo soldato Nato fino ad oggi e ora allineata sulle posizioni che guardano all’interesse europeo di Macron e Scholz. Da una parte i dubbi dei leader Ue e la volontà espressa di fare tutto il possibile per un cessate il fuoco e salvare la faccia di Putin. Dall’altra parte, la posizione di Biden, che ha definito Putin “criminale di guerra”, “macellaio”, “assassino”, di puntare a “indebolire la Russia fino al crollo”, inviando armamenti in Ucraina per 40 miliardi di dollari. Agli americani, peraltro, non ha fatto piacere nemmeno la videochiamata fra Macron e il leader cinese Xi Jinping, in cui si è riconosciuta la necessità di “rispettare l’integrità territoriale e la sovranità dell’Ucraina”.
L’intelligence statunitense ipotizza che la Russia si stia preparando per un «conflitto prolungato» in Ucraina, rischiando di trasformare la guerra qualcosa di ancora «più imprevedibile e pericoloso».
Anche se la distruzione continua giorno dopo giorno, i governi occidentali schierati al fianco dell’Ucraina stanno cominciando a soppesare i costi e la pianificazione che saranno necessari per la ricostruzione nell’immediato dopoguerra.
Sarà un’operazione complessa, che costerà centinaia di miliardi di euro e dovrà andare ben oltre la semplice ricostruzione di edifici, infrastrutture e case. «La comunità internazionale e gli attori privati hanno tutta la voglia di investire nella ricostruzione dell’Ucraina, ma molto dipenderà da quanto sarà speso bene il denaro», avverte Beata Javorcik, capo economista della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, che sarà una delle istituzioni strettamente coinvolte in questi lavori.
Ricostruire l’Ucraina significa anche rimettere insieme il settore privato delle aziende, rivitalizzare un’economia disastrata, restituire ai cittadini ucraini uno spazio in cui poter vivere a pieno le loro vite.
Questo vuol dire ad esempio ripulire il Paese da quella corruzione endemica che ne frenava ogni prospettiva di crescita e sviluppo. «Sebbene la cultura politica dell’Ucraina sia un mondo lontano da quella russa, perché ha media liberi, elezioni imprevedibili e una vivace società civile, non è stata in grado di scuotere alcune pratiche dell’era sovietica: la vita quotidiana è regolarmente facilitata da contatti personali o tangenti; i tribunali e i pubblici ministeri sono pigri e politicizzati; gli oligarchi spesso tirano le fila da dietro le quinte», scrive il Financial Times.
Aveva sollevato questo problema nuovamente pochi giorni fa la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen: «Gli obiettivi del progetto di ripresa dell’Ue per l’Ucraina includerebbero la lotta alla corruzione e l’allineamento dell’Ucraina agli standard legali europei. Questo porterà la stabilità e la certezza necessarie per rendere l’Ucraina una destinazione attraente per gli investimenti esteri diretti», ha detto al Parlamento europeo.
Bisognerà anche ripristinare l’ecosistema del settore privato, il mondo delle aziende, in particolare quelle tecnologiche. Prima della guerra, l’Ucraina vantava un vasto panorama di startup e giovani imprenditori nel settore dell’innovazione: lo Startup Ecosystem Rankings 2020 di StartupBlink, che classifica gli ecosistemi di startup di 100 Paesi e mille città, posizionava l’Ucraina ai margini della top-30 a livello globale, e Kiev tra i più importanti hub europei. In totale, nel Paese i lavoratori dell’Information Technology (IT) ucraino erano oltre 250mila, e producevano oltre l’8% del Pil.
Insomma, per ricostruire l’Ucraina ci vorranno circa 100 miliardi di dollari se si calcolano solo edifici, ponti e strade, secondo le stime più recenti. Ma per una ripresa vera e propria, che includa programmi di crescita, investimenti e un nuovo potenziale economico, la spesa si aggira tra i 500 e i 600 miliardi di dollari.
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha auspicato un «moderno Piano Marshall». Anche perché garantire la stabilità politica ed economica dell’Ucraina sul lungo periodo significa gettare le basi per il processo di integrazione e di adesione all’Unione europea.
«Ma a Bruxelles tutti sanno che, adesione o meno, sarà l’Europa a farsi carico della maggior parte dei costi di ricostruzione, visto che l’Ucraina è proprio lì a due passi», si legge sul Financial Times, che ricorda come la promessa di un’eventuale adesione all’Ue attirerebbe certamente investitori stranieri in Ucraina, aumentando le possibilità di una ricostruzione completa in ogni settore e in ogni dettaglio nei prossimi anni.