Claudio Martelli rivela una delle ultime cose che gli confidò Giovanni Falcone in partenza per la Russia: “La criminalità lì si è presa lo Stato”
A 30 anni esatti dalla strage di Capaci, Claudio Martelli, ex ministro socialista, rivela un retroscena sui viaggi che il giudice faceva poco prima di essere ucciso. Ed è in un’intervista all’Huffingtonpost che lo stesso Martelli parla di un allarme che gli aveva confidato proprio Falcone: i russi si erano presi lo Stato. Falcone alla fine degli anni ’80 e all’inizio degli anni ’90 era in contatto con il procuratore generale russo Stepankov.
Martelli parla di questo rapporto di collaborazione professionale tra il magistrato russo e quello italiano: “Con Stepankov Falcone creò un solido legame di collaborazione nell’ultimo anno, cioè a partire dal 1991, tanto che nel giugno del 1992 si doveva a recare lui stesso a Mosca, dopo che Stepankov era stato a Roma nel febbraio 1992. Stepankov lo mise al corrente di quello che era avvenuto durante la transizione seguita alla caduta del Muro di Berlino. Portò alla Procura di Roma documentazione emersa dagli archivi dell’ex Pcus, relativa all’esistenza sul territorio italiano di una struttura paramilitare denominata, per semplificare, “Gladio rossa” e altri documenti relativi ai finanziamenti all’allora Pci, che erano continuati ben oltre il 1989 (fino a quella data gli eventuali reati erano prescritti). Ma Stepankov parlò a Falcone anche di accadimenti nuovi, della trasformazione della mafia russa che gli disse – e Falcone me lo raccontò – aveva ormai preso in mano lo Stato russo, non aveva più bisogno di corrompere o infiltrare: i mafiosi russi erano diventati lo Stato, avevano una completa mano libera perché lì era caduto giù tutto. Tanto che nell’ottobre del 1993, l’allora presidente dell’Antimafia Luciano Violante dichiarò: “La capitale mondiale della criminalità organizzata non è più Palermo, è Mosca”, spiega l’ex ministro.
E Martelli sottolinea come Falcone seppe prevedere alcuni scenari della criminalità organizzata che si sono poi verificati: “Falcone non era né uno sciamano né un profeta, aveva una mente lucidissima e ha continuato a farla funzionare, libera ed indipendente, fino all’ ultimo, a pieno regime. Lui pensava che in tutto il mondo cominciava a prendere forma all’inizio degli anni 90 un modello unitario, fondato sulla forte tradizione di singoli gruppi etnici e su una straordinaria capacità di controllare il loro territorio grazie anche all’humus complice di parti dello stato e del potere politico. Ma che ciò cominciava ad avvenire con un modello unitario e con una vera e propria omologazione dei modelli di organizzazione criminale per cui sarebbe stato difficile distinguere tra i metodi della Yakuza, delle triadi cinesi e di Cosa nostra. Falcone pensava che le barriere linguistiche avrebbero rallentato questo processo, ma poi l’avvento del web e di Internet lo ha accelerato in modo esponenziale. Falcone aveva già allora messo in evidenza che si stava radicando nei rapporti reciproci tra le mafie il baratto (cocaina in cambio di eroina ad esempio) che metteva al riparo da “pericolosi “ trasferimenti di denaro, pericolosi in quanto intercettabili dall’antiriciclaggio”. La lotta alla criminalità organizzata portata avanti da Falcone continua anche oggi e l’attenzione al riciclaggio di denaro sporco è sempre più alta. Una lezione lasciata dal magistrato ucciso dalla mafia nel 1992.