Centrodestra: “Cosa può cambiare dopo il voto”

Le elezioni amministrative sono un banco di prova importante per tutti i leader politici, ma lo sono ancora di più per il centrodestra, dove gli equilibri interni potrebbero spostarsi a seconda di quello che sarà il responso delle urne tra la scorsa domenica e domenica  prossima, quando si voterà per i ballottaggi. L’obiettivo di Giorgia Meloni è consolidare la leadership nazionale e di coalizione che le attribuiscono i sondaggi, mentre Matteo Salvini punta a preservare la sua leadership.

Soprattutto adesso che riceve attacchi da tutti i fronti per il viaggio mancato a Mosca e per il caso dei biglietti, che erano stati acquistati dall’ambasciata russa e poi rimborsati dalla Lega una volta sfumata la missione. Secondo il ‘Corriere della Sera’ sarà soprattutto l’esito del voto a Verona ad avere un peso rilevante all’interno del centrodestra, innanzitutto perché se Damiano Tommasi dovesse arrivare al secondo turno contro l’uscente Federico Sboarina, consentirebbe al centrosinistra di provare a realizzare il più impensabile dei ribaltoni.

In caso di conferma di Sboarina esulterebbe soprattutto la Meloni, dato che il sindaco uscente è di Fratelli d’Italia. Se dovesse concretizzarsi una clamorosa sconfitta, paradossalmente a trarne vantaggio potrebbe essere Salvini: “In caso di vittoria di Tommasi – ha confidato un berlusconiano al Corriere – Salvini respingerebbe gli attacchi alla sua leadership nella coalizione (Meloni) e anche nel partito (Zaia)”. È presto però per parlarne e per fare calcoli: questo sarà semmai un tema caldo per i ballottaggi.

Per YouTrend  “la lista di Fratelli d’Italia sarebbe sopra la Lega nella maggior parte delle città principali, anche nel Nord“, ha twittato il fondatore Lorenzo Pregliasco.

Sul caos ai seggi di Palermo, Salvini svela di aver telefonato a Mattarella per denunciare la situazione. Salvini: “Spero che venga fatta luce, 50 seggi che non aprono per ore e ore,  la responsabilità è del Viminale, la ministra Lamorgese è intervenuta ore dopo il disastro. Lo sforzo della Lega, di essere collante della coalizione anche con un passo indietro sui candidati, è la strada vincente. Alle politiche il centrodestra può vincere solo unito”.

Intanto sono oltre 200 le persone segnalate alla Procura di Palermo dopo quanto successo domenica 12 giugno, con decine di sezioni rimaste chiuse per ore perché presidenti e scrutatori non si sono presentati. Aperta un’inchiesta.

Salvini non si è comunque presentato nella conferenza indetta dalla Lega in sede, a urne chiuse. In prima fila il vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli, che ha prima spiegato come l’assenza del segretario del Carroccio fosse programmata e poi ha criticato gli alleati di governo insieme al vicesegretario Andrea Crippa.

“Da parte di Berlusconi e di Forza Italia qualche sostegno c’è stato, da parte di altri partiti il silenzio è stato piuttosto assordante”. Il riferimento è a Giorgia Meloni e a Fratelli d’Italia.

Infine, Calderoli ha parlato di “un complotto che ha agito con singoli soggetti, magari non in forma associativa, affinché questo quorum non potesse essere raggiunto”.

Dalle urne emerge il dato negativo dell’affluenza, tra le più basse di sempre per ciò che concerne un referendum.

Parla  di “disinformazione” l’avvocato Giulia Biongiorno, senatrice in quota Lega. Secondo lei, infatti, il quorum non è stato raggiungo proprio per questo motivo.

Chiamatelo o chiamiamolo come vogliamo riconoscendoci in questo o quel titolo di giornale sul “flop”, l’”affondamento” ed altro dei cinque referendum sulla giustizia. Ai cui risultati, formalmente favorevoli all’abrogazione delle norme contestate dai promotori della prova elettorale, dal 57 a quasi il 70 per cento dei sì, è mancata la validità garantita solo da un’affluenza alle urne della metà più uno degli aventi diritto al voto.

Si è invece scomodato una ventina per cento del corpo elettorale: il livello più basso – sembra – di sempre. E a  circa le ore sette di lunedì, ieri 13 giugno, festa di Sant’Antonio da Padova, a quasi otto dalla chiusura dei seggi, il Ministero dell’Interno non era ancora in grado di dare il dato preciso di questa debacle della democrazia, prima ancora della “catastrofe” attribuita dal solito Fatto Quotidiano nell’altrettanto solito fotomontaggio di prima pagina solo ai “re Mida” alla rovescia che sarebbero Silvio Berlusconi, Emma Bonino, Carlo Calenda e i due Mattei -Salvini e Renzi- accomunati nella disavventura, peraltro largamente prevista.

Dopo più di trent’anni di esondazione politica della magistratura, ammessa anche da fior di magistrati in servizio e in pensione, e a più di 39 dall’arresto del compianto Enzo Tortora, diventato la vittima emblematica della cattiva giustizia italiana, solo una ventina di elettori su cento sentono attuali i problemi dei e nei nostri tribunali, e dintorni.

Pensare che questi problemi, come dicono i vincitori, anzi i beneficiari della partita referendaria appena fallita, debbano e possano essere risolti in Parlamento, dove nelle prossime ore riprenderà, particolarmente al Senato, l’esame della cosiddetta riforma Cartabia, dal nome della ministra della Giustizia Marta, è una pia illusione, pensando sia alle Camere ormai in scadenza sia a quelle che, salvo anticipo da incidente o agguato, subentreranno l’anno prossimo. Dove approderanno, a ranghi ridotti dai tagli imposti dai grillini agli alleati di turno di questa legislatura, cartelli, coalizioni e formazioni politiche da maionese, a dir poco. E tutto in un contesto internazionale da brividi, tra guerre quasi ai nostri confini e rischi di recessione, anche se molti fingono di non accorgersi e girano la testa dall’altra parte, non riuscendo peraltro neppure a spaventarsi all’idea che dopo le nuove elezioni politiche potremmo non essere più rappresentati all’estero da un governo presieduto da Mario Draghi. Che – detto per inciso – diversamente da Mario Monti, promosso da Giorgio Napolitano in contemporanea con la chiamata a Palazzo Chigi, non è stato nemmeno nominato senatore a vita. E difficilmente credo che lo sarà in questo scorcio di legislatura.

I risultati delle amministrative preannunciano tensione nel centrodestra. Se la coalizione sembra aver azzeccato molti candidati sindaci e sicuramente strappa Palermo al centro-sinistra e riconferma propri primi cittadini a Genova e L’Aquila, tira un’aria di fortissima competizione per la leadership fra Fratelli d’Italia e Lega.

Secondo le prime proiezioni Rai la formazione guidata da Giorgia Meloni sorpassa il Carroccio quasi ovunque. A Genova FdI è il terzo partito con il 10,1% dei voti contro il 6,7 della lista della Lega. A Verona il rapporto è di 10,2% per FdI contro il 6,5% del Carroccio. A Parma (dove Fratelli d’Italia correva da sola) la lista della Meloni raccoglie quasi il 7% contro il 4,6% del Carroccio. A L’Aquila Fratelli d’Italia è nettamente il primo partito con il 18,8% contro il 12,5 della Lega mentre a Palermo il rapporto è di 8,4% per Fdi copntro il 4,7% della lista di riferimento del Carroccio.

Sarebbe sbagliato riportare meccanicamente questi voti a livello nazionale perché alle amministrative vota mediamente solo il 50% del corpo elettorale contro il 70% delle elezioni politiche. Tuttavia il segnale è chiaro: FdI sta diventando competitiva anche nel Nord e per la Lega, che da poco ha rinunciato alla parola “Nord” nel suo nome, è un segnale assai spinoso. E il leader della Lega, Matteo Salvini ieri lo ha confermato: “Sulla leadership decideranno gli elettori alle politiche”.

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