Il ritorno all’instabilità interna in un contesto internazionale di dubbia affidabilità

Dopo la virtuosa stagione di governo portata avanti da Mario Draghi  si torna a quella che per noi è la normalità: l’instabilità. Sorrido a chi si stupisce per la scelta dei 5 Stelle, di togliere l’appoggio al governo. Non avevano altra scelta. Il partito dei vaffa, della protesta e della demagogia giacobina , che ha vinto le elezioni nel 2018, ha messo alla guida del primo esecutivo un perfetto sconosciuto che a sua volta ha cambiato due maggioranze diametralmente opposte fra loro, si è scisso, ha rivestito negli ultimi due anni il ruolo di assistente del Pd e la stampella del governo Draghi, campioni indiscussi dell’antipolitica, da tempo in drammatico calo di consensi, sarebbe stato fatti a pezzi alle prossime elezioni politiche. Adesso potrà dedicarsi, fino alla scadenza elettorale, all’attività che più gli è congeniale: il giacobinismo demagogico e un po’ di voti perduti potrebbe recuperarli. Né va sottovalutata la situazione di grandi difficoltà che il Paese si troverà ad affrontare al prossimo autunno, in essa i 5 Stelle si lanceranno a capofitto per gridare contro la casta. Ci auguriamo però, che la gente non abbia la memoria corta e non dimentichi i tanti disastri che hanno fatto in quattro anni e mezzo di governo. Certamente Conte e i suoi cercheranno di esibire i loro trofei al loro elettorato di riferimento: abolizione della povertà, il tentativo di riformare in modo giustizialista la giustizia, l’abolizione della presunzione di non colpevolezza, a cui la Cartabia ha dovuto porre rimedio. Per non parlare della riduzione del numero dei parlamentari, senza por mano ai correttivi necessari per assicurare efficienza al Parlamento. Saranno costretti a tacere su alcuni scheletri accumulati nei loro armadi, alcuni molto pericolosi, come il tentativo di spostare l’Italia dall’alleanza occidentale a quello russo-cinese. Il messaggio di Conte è stato chiaro: strizzare l’occhio a Putin e fargli sapere che il tentativo è ancora in corso. Gli interessi del Paese per loro passano in seconda linea. Sul piano internazionale le dimissioni di Draghi indeboliranno il fronte Occidentale. Una manna caduta dal cielo per Putin. In un contesto interno ed internazionale così delicato, contrassegnato da un conflitto bellico destinato a prorogarsi, la politica estera dei vari partiti, rivestirà un ruolo centrale nell’imminente campagna elettorale. E soprattutto questo tema crea e creerà contrapposizione all’interno degli schieramenti e alle eventuali future alleanze elettorali. Le prime avvisaglie si avvertono nel centro-destra, favorito dai sondaggi quale vincitore delle elezioni politiche, dove mal si conciliano l’atlantismo della Meloni con gli amori putiniani di Salvini. Dando uno sguardo a sinistra il Pd non gode di miglior salute con il tentativo del cosiddetto allargamento di campo ai grillini, ormai svanito, proposto dal suo segretario, il Cavalier di Francia Enrico Letta, che si è dovuto rendere conto dell’inaffidabilità dei grillini e del loro presidente, Giuseppe Conte,. Quindi in presenza di condizioni così drammatiche, le elezioni sono l’unica possibilità  per la democrazia per uscire dal guado. In un Paese che ha  nel suo Dna la debolezza dei partiti, astensionismo ormai elevato e consolidato, elettori pronti a cambiare partito molto velocemente, quindi fluidità elettorale, i mutamenti dell’offerta politica possono incidere notevolmente sugli esiti elettorali. Ma questo non è un vizio, ma un pregio per la democrazia.

Andrea Viscardi

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