Giorgia Meloni passerà nei prossimi giorni dallo spazio scenico di leader vittoriosa a quello di presidente incaricato di formare il nuovo governo. Com’è naturale, i commentatori si dedicheranno alla costituzione dell’esecutivo e alla figura del futuro presidente del Consiglio che incide in modo profondo e innovativo la storia d’Italia. Il che è si giustifica, oltre che con gli obblighi della cronaca, con la prima volta di una donna premier e di un premier di destra: due “prime” che segneranno la vita della nostra Repubblica.
Il centrodestra vince, con una destra che guida la coalizione: una forza politica diventata adulta, destra italiana cresciuta: nella progettualità, nella rappresentanza sociale, nella percezione comune; si è evoluta. La sintesi è data dal “nomen” che la Meloni ha dato a Fdi: “conservatori”, congiunto ad “europei”. Che nella tavola delle famiglie politiche marca differenze da “populista, “sovranista” o “nazionalista”. E ancor più da “post-fascista”: evidente forzatura, più da propaganda estrema che da normale dialettica politica.
Lo dimostra, peraltro, un piccolo ma simbolico fatto locale: a Stazzema – il comune toscano insignito della medaglia d’oro per la guerra di Liberazione, dove nella frazione S. Anna si consumò uno degli eccidi più efferati della repressione nazista – Fdi è il primo partito, con più del 30 per cento dei consensi; oltre la stessa media nazionale di un elettore su quattro che ha creduto alla visione dell’Italia contemporanea proposta da Giorgia Meloni, non al “passato che non passa” solo nella testa di avversari che vogliono essere nemici; dai quali resta lontana la stragrande maggioranza della società italiana col suo scorrere di generazioni impermeabili all’uso politico della storia e alla riproposizione, fuori dal tempo, di tragiche divisioni: un rimanere a “ieri” che, nel mondo di oggi, non incrocia il senso comune. Il quale resta indifferente anche al vocabolario spaventevole di parte dello spezzettato schieramento anti-Meloni. E, ancor più, alle improvvide ingerenze di qualche leadership di istituzioni straniere a ciò sollecitata e imbeccata.
Giorgia ha rivelato ai suoi connazionali – a tutti, non solo all’uno su quattro che l’ha votata – l’idealità della coerenza. Il suo valore. Predicato e vissuto. Lo ha rimesso in circolo come sentimento popolare. Premiato e assurto a virtù presente nella nostra biografia collettiva. E lo interpreta nella società politica, da prossimo capo del governo. Il che è tutt’altro che trascurabile per quanti, oltre le appartenenze, credono nelle “altezze”, oltre che nella razionalità della politica.
La vera forza della Meloni è stata di fare del suo partito un soggetto politico aggregatore, accorto ed aperto con gli alleati, ai quali ha lasciato spazi e e seggi ben superiori alle loro effettive produzioni elettorali; ma così ha assicurato un equilibrio interno che ha dato coesione e credibilità alle aspirazioni di successo del centrodestra unito. E nel “dopo” ha fornito a Salvini, elementi per calmierare il ribollire intestino della Lega messa in agitazione dalla percentuale elettorale ad una cifra. Una vocazione alla mediazione, quella della leader di Fdi, insospettata e sconosciuta ai più: l’opposto della radicalita, pezzo eminente del campionario che ha provato a cucirle addosso la concentrazione politico-mediatica progressista.
Le forzature anti-Meloni contro l’interesse nazionale di Repubblica con Carmelo Briguglio che scrive a Maurizio Molinari:
‘…Nessuno, in politica, é figlio o figlia di se stessa. Contano molto le ascendenze politiche e intellettuali; ma, caro Molinari, se volete capire la quarantenne Meloni e la sua capacità di rendersi credibile, non andatevene a ritroso nei luoghi tragici della storia italiana ed europea, fino all’alba del secolo scorso. Lasciate perdere Predappio, il folclore “fascio”, i sepolcri, gli spettri della guerra civile spagnola. Prendete in rigoroso esame il cammino della (forse) prossima premier nel passato recente: presidente d’aula a Montecitorio, ministro, leader di una storica famiglia politica europea, donna delle istituzioni e di relazioni anche internazionali. Nel qual percorso vede ombre e pagliuzzine, solo chi vuole vederle; chi non vede o sottovaluta le travi nel campo guidato da Letta: a partire da brutti antisemitismi e sovietiche nostalgie, queste sì, preoccupanti.
Prenda atto il suo giornale, che l’attuale leader del centrodestra ha compiuto il suo cammino dentro la democrazia italiana: é figlia legittima della nostra Repubblica; non ha avuto e non ha motivi di deviare dalla continuità degli impegni che l’Italia tradizionalmente mantiene con gli altri partner europei ed occidentali. Volerlo mettere in dubbio, con evidenti forzature, a mio modo di vedere, non serve al discorso pubblico, a una competizione elettorale liberata da timori che non hanno ragion d’essere. Non serve soprattutto all’Italia, alla sua reputazione in Europa e nel mondo, al nostro permanente – titolo del suo bel libro di qualche anno fa – “interesse nazionale”. Ecco, se può, caro Molinari, tenga conto, di queste mie “marginalia”. Non ci credo, ma ci spero. Grazie, comunque. Auguri’.