“Arte e Calici di Solidarietà”: organizzato per i Leon di Palma Campania (giovani dei Lions) dall’Associazione VESEVO

“Arte e Calici di Solidarietà”: è il titolo dell’ apericena organizzato per i Leon di Palma Campania (giovani dei Lions) dall’Associazione VESEVO, in programma sabato 26 nello splendido Anfiteatro di Avella. Glorioso ed antichissimo testimone di grandi avvenimenti, storie memorabili, affollato campo dei giochi e dei sanguinosi combattimenti tra gladiatori, l’Anfiteatro Romano di Avella campeggia maestoso nell’Area Archeologica, appena fuori il centro abitato del quartiere San Pietro. L’evento è finalizzato a sostenere, attraverso la donazione di parte degli incassi, le attività dell’associazione Maya, che si occupa di fornire supporto alle donne vittime di violenze, associazione del CAV diocesano.
L’associazione VESEVO promuove eventi a tutto campo, a sfondo sociale. Ne fanno parte artigiani che creano manufatti artistici, prevalentemente complementi di arredo (souvenir, bomboniera, gadget, bomboniere, ecc) finalizzati a varie occasioni. VESEVO organizza incontri nei quali si fondono arte e socialità, in luoghi prestigiosi del territorio campano. In essi s’incontrano Arte Cultura FoodL’ultima manifestazione in ordine di tempo, si è svolta nelle incantevoli basiliche poliocristiane di Cimitile, dove l’apericena ha puntato sull’ informazione medica. I partecipanti hanno visitato gli antichissimi monumenti storici e hanno discusso sugli ultimi ritrovati nel settore salute. L’apericena odierno su “Calici e Arte di Solidarietà” include una visita guidata al Castello di Avella e poi all’anfiteatro, con degustazioni dei vini di Cantine Mediterranee e di Tenuta Di Costanzo, accompagnate dalle prelibatezze di un artigiano del posto, Imperium.
Il complesso monumentale del Castello di Avella, chiamato anche Castello di San Michele (superficie interna circa 2mila mq) è in posizione strategica di controllo del territorio circostante, a guardia di un itinerario naturale che attraverso il passo di Monteforte Irpino collega la pianura campana con la valle del Sabato e conduce in Puglia e verso la costa adriatica. È situato su una collina dai fianchi scoscesi, m 320 s.l.m., a destra del fiume Clanis, sui rilievi che bordano la pianura campana ad est, protetto dai monti di Avella, barriera naturale che separa il comprensorio avellano-baianese dalla Valle Caudina. La datazione del suo impianto è stata fissata al periodo normanno (XI-XII secolo) attraverso saggi esplorativi condotti nel 1987, per un intervento di restauro. Interventi di ristrutturazione risalgono al XIII secolo.
La rocca è dominata dalla mole di una torre cilindrica su base troncoconica saldata alle imponenti strutture del donjon. Due cinte murarie si sviluppano a diversa quota e cingono le pendici del colle, ricongiungendosi alla base della rocca, sul lato settentrionale. La prima cinta, di epoca longobarda, ha una pianta ellittica e abbraccia una superficie di circa mq 10.000; del circuito si conservano dieci semitorri di cui una è inglobata alla base dell’angolo settentrionale del donjon, cinque sono a sezione troncoconica e quattro di forma troncopiramidale.
La seconda cinta, a pianta poligonale, prevede una porta carraia nell’angolo sud-orientale e nove torri: otto quadrangolari ed una all’angolo sud-ovest, a pianta pentagonale. Resti di numerose abitazioni si trovano nell’area compresa tra le due cinte murarie, in forte pendio verso sud. L’unico edificio conservato in elevato è una grande cisterna a pianta rettangolare, all’interno della cinta muraria interna. La leggenda che riguarda il castello, narra di due giovani, Cofrao, un principe persiano, e Bersaglia, una contadina, i quali, ostacolati nel loro amore per le umili origini della ragazza, scapparono dalle terre natie per rifugiarsi appunto ad Avella, dive furono ben accolti dalla popolazione locale e lì decisero quindi di edificare il maniero, tuttora simbolo del territorio. Rappresenta uno dei complessi medievali più rilevanti della Campania, dal punto di vista monumentale, eppure solo recentemente, grazie alla disponibilità di finanziamenti destinati alla realizzazione di un parco archeologico, è stato oggetto di esplorazione sistematiche, condotte tra il 2000 e il 2001 dalla Soprintendenza peri Beni Archeologici delle province di Salerno, Avellino e Benevento, prevalentemente sulla rocca, per definirne lo sviluppo planimetrico e tracciare una prima periodizzazione delle sue fasi di occupazione, su basi stratigrafiche.
L’incontro promosso da VESEVO, fornisce l’occasione per ammirare nei dettagli quel museo a cielo aperto in cui è possibile rivivere la gloria della Roma imperiale, costituito dall’Area Archeologica dell’Anfiteatro Romano di Avella, dal notevole interesse storico, tra i più antichi della Campania. È rapportato a quello di Pompei, più che per le sue dimensioni più contenute: 60 metri di lunghezza e 35 di larghezza, piuttosto per il materiale e la tecnica di costruzione in opus reticolatum di caratteristici tipo giallo. È stato edificato in età tardo-repubblicana, nel primo secolo a.C, all’estremità del decumano maior (ora corso Vittorio Emanuele). Poggia a sud-est su resti di mura sannite, a nord-ovest su un pendio naturale. Così come raffigurato in una base onoraria del 170 d.C., attualmente conservata all’ingresso principale del Palazzo Baronale, in Piazza Municipio, all’epoca larghe gradinate, ima, media e summa cavea, cingevano un’arena situata ad un livello inferiore rispetto il restante piano di calpestioTuttora sono visibili le prime due cavee, inferiore e centrale, e pure alcuni sedili in tufo. Piche tracce restano della summa cavea, superiore. Si entrava nell’ arena attraverso due accessi: la “porta triumphalis” e la “porta libitinensis”. Dalla porta della vittoria scendevano le massime autorità a bordo di una biga, tra l’acclamazione della folla; si fermavano al centro dell’arena e poi salivano sul podio; da lì potevano assistere con ottima visuale allo spettacolo. Invece, dalla seconda, venivano trasportati via i moribondi dei combattimenti e i vinti. Una terza porta più piccola consentiva l’accesso ad un tempietto dedicato a un dio al quale i gladiatori, prima di scendere nell’arena, chiedevano protezione e innanzitutto salva la vita.
Teresa Lucianelli

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