Dissesto idrogeologico: mancano 20 miliardi per la messa in sicurezza. 1,9 mln di edifici a rischio

«Basta con accuse strumentali e artate operazioni di sviamento rispetto alle reali responsabilità: l’ennesima tragedia di Ischia si è verificata a causa dell’inefficienza della Pubbliche Amministrazioni nell’utilizzo dei fondi»L’accusa è del presidente nazionale di Federcepicostruzioni, Antonio Lombardi, che stigmatizza la mancanza di risorse destinate alla messa in sicurezza del territorio; l’inefficienza delle pubbliche amministrazioni nell’utilizzo delle opportunità esistenti; la burocrazia, fatta anche di vincoli di varia natura, che ancora si frappone all’attivazione degli interventi.

«Non vogliamo in alcun modo giustificare o assolvere i pur esistenti e gravi fenomeni di abusivismo, come pure i condoni che hanno comunque inficiato, in molti casi, i piani di messa in sicurezza. Ma il dato più evidente ed eclatante è che non si investe nella prevenzione, nonostante i maggiori rischi legati al cambiamento climatico: le risorse sono scarse, insufficienti e utilizzate malamente».

Il contesto: un paese ad altissimo rischio

I dati la dicono lunga, e non da oggi, sul contesto di estrema fragilità e rischio dell’intera penisola italiana. Secondo il Rapporto sulle condizioni di pericolosità da alluvione in Italia, pubblicato da Ispra nell’autunno scorso, circa il 5,4% del territorio nazionale è ad elevato rischio alluvione. «Parliamo di una porzione di Paese – dice ancora Lombardi – in cui risiede più del 4% della popolazione e dove è collocato circa l’8% del nostro patrimonio artistico».

A medio rischio di allagamento si trova invece il 10% del territorio: qui risiedono l’11,5% degli italiani (quasi 6,78 milioni) e sono ubicati il 16,5% dei beni culturali.

Se si allarga l’indagine anche ai fenomeni franosi, il contesto di pericolosità diviene ancor più allarmante: il 3,1% del territorio nazionale presenta un rischio “molto elevato”, il 5,6% “elevato” e il 4,8% “medio”. Complessivamente il 20% del territorio nazionale – diversamente collocato nei cinque livelli di rischio dell’Ispra – può considerarsi in pericolo per frane e smottamenti.

Gli edifici a rischio frana sono quasi due milioni (1.867.094, il 12,9% del totale) dei quali 333.044 in Campania.

«Sono dati molto preoccupanti – commenta il presidente Lombardi – che diventano ancor più allarmanti se rapportati ai pericoli per le persone: sono 5.707.465 le persone che oggi vivono in territori a rischio frana e di questi quasi 500 mila (499.749) in territori che presentano un rischio molto elevato. Il 13% di questi sono giovani al di sotto dei 15 anni e il 23% anziani».

È evidente che in quadro di pericolosità così grave e diffuso «occorre una seria assunzione di responsabilità delle istituzioni – commenta ancora il presidente Lombardi – ad ogni livello. È necessario un programma di investimenti continuo nel tempo, anche per tutelare una delle nostre risorse più importanti: un ambiente apprezzato e invidiato in tutto il mondo in termini di biodiversità e di bellezza paesaggistica».

Occorrono interventi alla radice e programmi costanti ed efficaci.

L’Ispra ha censito, tramite la piattaforma Rendis (Repertorio nazionale degli interventi per la difesa del suolo), oltre 6.000 opere in corso (dato aggiornato al 2020), per un totale di poco superiore a 6 miliardi di euro impegnati. Questo a fronte di quasi 8.000 «proposte progettuali attive, per un importo complessivo pari a 26,58 miliardi», si legge testualmente nel rapporto.

«La differenza, all’incirca 20 miliardi – commenta il presidente Lombardi – è ciò che di fatto manca alla cura del territorio. Una somma enorme, che è anche frutto delle politiche di austerità degli anni scorsi che hanno appunto falcidiato gli investimenti pubblici destinati alla prevenzione del dissesto e alla sicurezza, nel corso degli ultimi anni: erano 60 miliardi nel 2010, sono scesi a 40 nel 2014 per rimanere in linea di massima costanti fino ad oggi».

La beffa del Pnrr

«A poco servirà il Pnrr – commenta Lombardi – nonostante oggi, a tragedia consumata, lo SI presenti come possibile panacea di tutti i mali: nel Piano i capitoli di spesa legati, direttamente o indirettamente, al dissesto idrogeologico ammontano a 8,49 miliardi, di cui però solo 2,49 esplicitamente dedicati a «misure per la riduzione del rischio idrogeologico» (Missione 2, Componente 4, Investimento 2.1). Si tratta però di una somma che comprende al suo interno opere per le quali i fondi erano già stati stanziati da tempo e che vengono solo “sostituiti” dalle risorse del Pnrr».

Il risultato? «Nel contrasto al dissesto idrogeologico – è l’amara conclusione del presidente di Federcepicostruzioni – si stanziano pochissime risorse, a fronte dei miliardi necessari per mettere davvero in sicurezza il Paese. Il tutto in un contesto burocratico, procedurale ed amministrativo, che fino ad oggi ha frenato la quasi totalità degli interventi finanziati. Non è un caso che la citata misura del Pnrr sia tra quelle ancora ferme sulla carta. Se non si mette seriamente mano a queste problematiche il rischio è che si continuerà a piangere vittime, lasciando sul tappeto quelle problematiche che concorrono concretamente, da decenni, a provocarle».

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