Il Festival di Sanremo 2023, che si è aperto con il co-conduttore Gianni Morandi che ha cantato l’Inno d’Italia, ha riaperto il dibattito sul “Canto agli italiani”, canto risorgimentale scritto da Goffredo Mameli e musicato da Michele Novaro nel 1847, scelto come inno nazionale della Repubblica Italiana.
Ad accendere la polemica è un articolo scritto da Tomaso Montanari e pubblicato su ‘Il Fatto Quotidiano’. Secondo Montanari, il “Canto agli italiani” parla di “una nazione etnica, per via di sangue: modellata sulla famiglia di consanguinei” e “su una famiglia rigidamente patriarcale: nella quale contano, e dunque vengono menzionati, solo i maschi: delle sorelle, nessuna traccia. E contano solo i maschi perché il nesso essenziale è quello tra nazione, sangue e guerra”.
Tomaso Montanari definisce il “Canto agli italiani” un “inno di morte, e alla morte“, in cui “l’immaginario è militarista, la ricerca del martirio martellante” e dove “la persona umana non conta nulla: conta solo il destino della nazione. Una nazione tipicamente vittimista e lamentosa“.
Per Montanari, nell’inno d’Italia, la storia è “al servizio del presente, in una lettura figurale e mitica che innalza la xenofobia a caratteristica essenziale della nazione italiana: Scipione che batte Cartagine è immagine della eterna lotta degli italiani contro gli stranieri (gli africani, nella fattispecie)”.
Nel suo articolo, Tomaso Montanari si domanda: “Il testo del Canto degli italiani di Goffredo Mameli si iscrive perfettamente nella retorica risorgimentale cui appartiene (è del 1847). Ma che effetto fa, ascoltarlo oggi, quasi duecento anni dopo, in un’Italia, in un’Europa, in un mondo clamorosamente diversi?”.
Nel testo, si ricorda che l’inno fu adottato come provvisorio nel 1946, su iniziativa del ministro della Guerra, ed è diventato poi ufficialmente tale molti anni dopo, nel 2017. L’articolo si conclude proprio con un riferimento a Gianni Morandi e alla sua esibizione al Teatro Ariston.
L’articolo di Tomaso Montanari, dal titolo “‘Fratelli d’Italia’, il triste inno nazionalista fuori dalla storia“, è stato pubblicato dopo quanto accaduto ad Arezzo il 7 febbraio 2023: Tomaso Montanari era stato invitato dall’Istituto Galileo Galilei di Arezzo per un intervento, che è stato duramente contestato dal Blocco Studentesco Arezzo, che lo ha accusato di essersi “gettato in un becero e rocambolesco sproloquio disfattista, infamando vergognosamente l’Inno Nazionale, la Patria e la sacralità della sua difesa”. Su ‘Twitter’, Tomaso Montanari aveva commentato la contestazione subita, sottolineando che la lezione era sull’Articolo 9 della Costituzione”.
L’articolo di Tomaso Montanari sull’inno d’Italia non è passato inosservato. Tra le reazioni spicca quella arrivata sulle pagine del ‘Secolo d’Italia”, nella quale, in linea col riferimento nel testo di Montanari all’inno cantato da Gianni Morandi durante il Festival di Sanremo 2023, viene nuovamente citato quanto accaduto al Teatro Ariston e si propone in maniera ironica e provocatoria di sostituirlo con “Made in Italy“, la canzone presentata da Rosa Chemical a Sanremo (già al centro delle polemiche nelle ultime settimane per la sua fluidità e per l’esibizione all’Ariston, con il bacio in diretta tv nazionale dato a Fedez).
Tali sciocchezze Montanari, critico d’arte e rettore dell’Università per Stranieri di Siena, le ha scritte, come detto, sul Fatto, in un articolo che è il seguito di una contestata conferenza sul tema che il docente aveva già tenuto ad Arezzo. Montanari se la prende anche col Pd, il quale per reazione al successo della Lega avrebbe resuscitato la retorica risorgimentale, “senza capire quali ben più pericolosi fantasmi si andassero così a legittimare”. Da pessimo storico qual è non menziona il ruolo avuto dal presidente Ciampi e nemmeno il tributo all’Inno nazionale dal palco di Sanremo del beniamino della sinistra Roberto Benigni.
Chicca finale: Fratelli d’Italia, guarda un po’, è un partito che ha un nome che rimanda all’Inno nazionale, a quella retorica patriottica (patriottarda secondo Montanari) che ebbe un sussulto di popolarità anche nel famigerato Ventennio fascista. E poi anche il Festival di Sanremo si è aperto con Gianni Morandi che cantava l’inno nazionale-nazionalista. Ma che fastidio per Montanari. Deve avere apprezzato, invece, le performance da gay pride di Fedez e Rosa Chemical. Anzi, giacché c’era, poteva lanciare la proposta di sostituire il canto dgeli italiani di Mameli con “Made in Italy”, titolo della canzone dell’artista fluido che ha fatto incazzare la Ferragni limonando davanti a milioni di spettatori col consenziente maritino seduto in prima fila. Uno spettacolo edificante. Non maschilista, non patriarcale, non razzista, non omofobo, non nazionalista. Perfetto per la sinistra, estrema e non.