Mattarella firma il decreto Milleproroghe con riserva: chiede modifiche sui balneari a Governo e Parlamento

Il presidente della Repubblica ha promulgato il decreto Milleproroghe inviando una lettera ai presidenti delle Camere e del Consiglio

Decreto Milleproroghe: le novità per mutui, concessioni balneari e smart working

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato con riserva il decreto Milleproroghe approvato  in via definitiva dalle Camere. Con una lunga nota il Capo dello Stato ha espresso le sue riserve sul metodo e sul merito del provvedimento, chiedendo a Governo e Parlamento di modificare la norma sulle concessioni balneari.

Una firma con riserva però, in quanto il presidente della Repubblica chiede che Governo e Parlamento intervengano per modificare la parte del decreto che contiene le norme sulle concessioni balneari.

Questo perché quelle norme sono in contrasto con il diritto europeo e con sentenze della magistratura, come scrive Mattarella in una lettera inviata alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e ai presidenti del Senato, Ignazio La Russa, e della Camera, Lorenzo Fontana.

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I rilievi mossi da Mattarella sono molti. A partire dal metodo: usare il decreto Milleproroghe come “contenitori dei più disparati interventi normativi”, violando così il requisito dell’omogeneità di contenuto richiamato più volte dalla Corte costituzionale.

Oltre all’eccessiva “disomogeneità” degli articoli della legge, il Capo dello Stato solleva una serie di perplessità sul merito, in particolare le norme in tema di concessioni demaniali.

Sono così tanti i profili critici individuati che Mattarella avrebbe potuto non firmare il decreto e rinviare l’intero testo alle Camere.

Nella nota il presidente della Repubblica spiega di aver invece deciso di soprassedere solo per evitare la decadenza “con effetti retroattivi, in molti casi in maniera irreversibile, di tutte le numerose altre disposizioni che il decreto-legge contiene, determinando incertezza e disorientamento nelle pubbliche amministrazioni e nei destinatari delle norme”.

Le concessioni balneari

Le riserve maggiori riguardano quella parte del decreto Milleproroghe che contiene le norme sulle concessioni balneari. “È evidente – scrive Mattarella nella lettera – che i profili di incompatibilità con il diritto europeo e con decisioni giurisdizionali accrescono l’incertezza del quadro normativo e rendono indispensabili, a breve, ulteriori iniziative di governo e Parlamento”.

Il Capo dello Stato sottolinea che le disposizioni contenute nel testo approvato “sono difformi dal diritto dell’Unione europea” e ricorda gli impegni in termini di apertura al mercato che l’Italia ha assunto nell’ambito delle riforme collegate al Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Mattarella ha poi ricordato le sentenze del Consiglio di Stato, che ha ritenuto “senza effetto perché in contrasto con l’ordinamento dell’unione europea” “qualsiasi ulteriore eventuale proroga” alle concessioni demaniali.

Stiamo parlando della normativa sulle concessioni balneari, una questione che ciclicamente torna d’attualità nel dibattito pubblico e che nel corso degli anni ha rappresentato un vero e proprio terreno di scontro tra il nostro Paese e le istituzioni europee.

Concessioni balneari, le proroghe infinite e la svolta con Mario Draghi

Con l’arrivo del 2023, il rinnovo delle autorizzazioni per chi gestisce le spiagge farà di nuovo capolino nel confronto tra i partiti. Questo in virtù dello stop voluto durante la scorsa estate dall’esecutivo di Mario Draghi. Con l’approvazione del Ddl Concorrenza (entrato in vigore il 27 agosto 2022), l’ex capo della Bce ha bloccato le proroghe alle concessioni balneari che per oltre un decennio sono state rinnovate “di default” da parte dei diversi governi che si sono succeduti.

È successo nel 2009, quando il quarto governo guidato da Silvio Berlusconi decise di confermare le licenze di utilizzo dei litorali italiani fino al 2015. Lo stesso schema si è riproposto con l’arrivo di Mario Monti a Palazzo Chigi: nel 2012 l’allora premier prorogò i contratti con i soggetti concessionari fino al 2020.

L’ultima replica si è avuta con Giuseppe Conte, che durante il governo gialloverde estese la validità degli accordi addirittura fino al 2033. Un meccanismo che non ha eguali all’interno del nostro apparato legislativo, dove le procedure di assegnazione di qualsiasi diritto garantito dalla Stato devono sempre passare attraverso dei periodici bandi pubblici.

Concessioni balneari, lo stop del Consiglio di Stato e le battaglie di Matteo Salvini

Prima dello stop voluto da Draghi, all’inizio del 2022 era stato il Consiglio di Stato ad intervenire per bloccare i rinnovi automatici. L’organo giuridico aveva sottolineato la palese scorrettezza delle continue proroghe per le concessioni balneari. Di conseguenza, i magistrati hanno imposto l’obbligo di gara pubblica per l’assegnazione di tutti i permessi futuri.

Un cambio di paradigma auspicato anche dall’Unione europea, che già nel 2020 aveva inoltrato un rimprovero ufficiale all’Italia per l’incapacità di modificare la prassi nonostante i diversi avvertimenti. L’istituzione guidata da Ursula von der Leyen si richiama all’attuazione della direttiva Bolkestein, che dal 2006 impone lo svolgimento di procedure pubbliche, imparziali e trasparenti per l’affido delle concessioni balneari.

La legge è divenuta celebre nel nostro Paese per le tante critiche mostrate nei suoi confronti dal segretario della Lega Matteo Salvini. Anche durante i comizi più recenti, il capo del Carroccio ha sempre ribadito la propria volontà di “smontare pezzo per pezzo, riga per riga” una normativa che lui ritiene vada “superata, archiviata e cancellata”.

Concessioni balneari, quando scadono e cosa rischia l’Italia nel 2023

Con l’intervento dello scorso anno, il Consiglio di Stato ha fissato la nuova scadenza delle licenze al 1° gennaio 2024. Contestualmente, il successivo Ddl Concorrenza ha indicato a febbraio del 2023 la deadline per l’emanazione dei decreti con i criteri per lo svolgimento delle gare pubbliche.

Una doppia stretta che oggi costringe il governo di Giorgia Meloni a muoversi con estrema rapidità per evitare di sforare questi limiti temporali: il rischio più concreto è che l’Unione europea decida di aprire una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia, un provvedimento minacciato da tempo ma per ora mai applicato.

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