Il nuovo Pd di Elly Schlein rischia di schiantarsi sulla scelta dei capigruppo di Camera e Senato. I pontieri del presidente dem Stefano Bonaccini trattano con la segretaria ma “il negoziato è ancora in alto mare”, riporta Repubblica. Si vota per eleggere i due nuovi capigruppo e mentre ci sono pochi dubbi sull’esito – Chiara Braga e Francesco Boccia guiderebbero i dem in Parlamento – ma c’è il rischio che “una fronda di scontenti, se non ci fosse un accordo di massima sulla segreteria, potrebbe votare scheda bianca”.
Il punto è la fotografia dei gruppi che uscirà dall’urna. Non sembra più esserci il rischio di una conta, perché ormai Schlein ha la maggioranza tra gli eletti e nessuno sembra incline a sfidarla, ma una fronda di scontenti, se non ci fosse un accordo di massima sulla segreteria, potrebbe votare scheda bianca. Rendendo plastica la spaccatura. È l’ipotesi ventilata dall’area che fa capo all’ex ministro Lorenzo Guerini. E non è esclusa anche da bonacciniani più dialoganti come Matteo Orfini. Schlein ha parlato con entrambi, come con Graziano Delrio, assicurando di voler perseguire unità e collaborazione. Come si augura lo stesso Bonaccini. Ma i big della minoranza vogliono prima un accordo sulla segreteria, che gli schleiniani invece vorrebbero chiudere dopo, anche se la trattativa è in corso.
Schlein ha in testa una squadra modello “governo ombra”. Circa 15 posti, quasi uno per ministero, appunto. Con 2-3 innesti esterni di livello: professori, esperti, dirigenti delle associazioni. Facce nuove come Marta Bonafoni. Alla minoranza, in questo quadro, verrebbero offerti 3-4 ruoli. Anche con deleghe pesanti, come gli Esteri (per cui i bonacciniani indicherebbero Alessandro Alfieri) e la Sanità. Non l’Economia per cui è in pole l’ex vice-ministro Antonio Misiani. Il problema è che la minoranza ne chiede di più, di posti. Lo schema, è il ragionamento di Base riformista, dovrebbe rispecchiare l’equilibrio del congresso: con una quota di almeno il 40% per i bonacciniani. Quindi 6-7 posti su 15. Ipotesi che dall’altro lato del tavolo ritengono surreale. Così come l’altra richiesta, fatta trapelare in queste ore, della delega cruciale all’Organizzazione, che la segretaria vuole ovviamente affidare a una persona di fiducia, che dovrebbe essere Marco Sarracino.
Ma Schlein, che alla segreteria unitaria ci tiene davvero per non incappare in una navigazione burrascosa, potrebbe offrire alla minoranza uno dei due vice-segretari (per la sua area invece girano i nomi di Marco Furfaro o Peppe Provenzano). A patto che il profilo bonacciniano rispecchi quel rinnovamento che la leader intende portare avanti. Soprattutto, Schlein non è intenzionata ad accettare nomi dettati dai capicorrente. Sul suo team vuole avere l’ultima parola.
Non indicherà i nomi dei capigruppo, ma dirà come intende gestire il partito. E parlerà soprattutto di temi: salario minimo, lotta ai contratti precari, ambiente. Migranti. Perché se la quadra sugli assetti interni è una tappa obbligata, il Pd, è convinta, deve parlare soprattutto fuori dal Palazzo, più che dentro.
Insomma, i big della minoranza vogliono un accordo sulla segreteria prima del voto per i capigruppo, i sostenitori di Schlein in contrario. Nella partita della squadra della segretaria c’è la delega cruciale all’Organizzazione, che Schlein “vuole ovviamente affidare a una persona di fiducia, che dovrebbe essere Marco Sarracino”.
Per ottenerlo “potrebbe offrire alla minoranza uno dei due vice-segretari (per la sua area invece girano i nomi di Marco Furfaro o Peppe Provenzano). A patto che il profilo bonacciniano rispecchi quel rinnovamento che la leader intende portare avanti. Soprattutto, Schlein non è intenzionata ad accettare nomi dettati dai capicorrente”, si legge nel retroscena. Gli schleiniani sperano che la spartizione delle deleghe della squadra in stile “governo ombra” possa fa diminuire le fibrillazioni all’interno del partito.
C’è una contraddizione tra le caratteristiche politiche e personali di Elly Schlein e le abitudini di potere dei gruppi dirigenti del Pd. Mentre lei è tesa a sostenere varie battaglie di piazza e/o sui diritti civili, si sbraccia sul tema dell’immigrazione con una linea aperturista molto diversa da quella delle passate stagioni, sposa cause libertarie magari minoritarie, i Dirigenti-del-Partito si agitano alla ricerca di un posto al sole nella nuova stagione.
È molto probabile che Schlein non sia a proprio agio in queste polemiche e trattative interne, e anche gli sconfitti di Stefano Bonaccini un po’ di confusione ce la stanno mettendo anche loro.
La minoranza si è subito rotta soprattutto a causa dei classici salti della quaglia in cui eccellono vari personaggi che sono stati renziani, lettiani, franceschiniani, di sinistra, bonacciniani e oggi schleiniani, ma è un riflesso scontato, certi casi sono in buonafede, altri rappresentano la solita triste corsa sul carro del vincitore.
Avrà molto da fare, la segretaria, per soddisfare la fame di posti di dirigenti, mezzi dirigenti, ex sottosegretari, ex ministri, rimasti a piedi, c’è il rischio di assistere a una moltiplicazione di cariche proprio per piazzare tutti, magari raddoppiando gli organismi con la presenza di un governo ombra, già fallito con Achille Occhetto e con Walter Veltroni. Avere una segreteria forte è una mera chimera e il nuovo Pd di Elly Schlein rischia di schiantarsi sulla scelta dei capigruppo di Camera e Senato.
Schlein, sul suo team vuole avere l’ultima parola per dire come intende gestire il partito. Parlerà soprattutto di temi: salario minimo, lotta ai contratti precari, ambiente. Migranti. Perché se la quadra sugli assetti interni è una tappa obbligata, il Pd, è convinta, deve parlare soprattutto fuori dal Palazzo, più che dentro.
C’è una contraddizione tra le caratteristiche politiche e personali di Elly Schlein e le abitudini di potere dei gruppi dirigenti del Pd. È molto probabile che Schlein non sia a proprio agio in queste polemiche e trattative interne, la guerra nel Pd è più aperta che mai e porta con sé la nascita di fatto di una nuova corrente, il cui nome provvisorio sarebbe Ulivisti 4.0. A farne le spese, allo stato attuale, è Stefano Bonaccini: la nascita della nuova area, infatti, è trapelata nel giorno in cui lo sconfitto al congresso ha riunito i “suoi” per fare il punto sulle trattative per i nuovi assetti interni al partito, proprio a cominciare dalla partita dei capigruppo. In 21 hanno disertato il vertice tenuto in video conferenza.
Tra gli assenti alla riunione si registrano i senatori Marco Meloni, Antonio Nicita, Nicola Irto, Enrico Borghi, Lorenzo Basso, Silvio Franceschelli; i deputati Andrea Casu, Marco Simiani, Stefano Graziano, Anna Ascani, Toni Ricciardi, Matteo Mauri, Irene Malavasi, Irene Manzi; l’europarlamentare Pina Picierno. “Ma ci sono altri parlamentari, che non hanno sostenuto Bonaccini, che condividono le nostre posizioni”, ha spiegato uno degli “Ulivisti 4.0”.
La riunione di Bonaccini con i suoi è stata, in realtà, di fatto un monologo: il presidente ha interdetto il dibattito, sostenendo che sarebbe stato su “un quadro che manca di troppi elementi”. La segretaria sembra decisa a procedere spedita per la sua strada. Insomma, unità sì, ma su ciò che decide lei. Bonaccini ha più volte chiarito di non essere disposto a far passare così liscia la faccenda e dopo il positivo passaggio dell’Assemblea nazionale del 12 sarebbe auspicabile che anche i prossimi passaggi si svolgessero in un clima di unità e collaborazione”, ha detto il presidente Pd. “Elly – ha proseguito – mi ha rappresentato il suo orientamento sui capigruppo la settimana scorsa e mi sono sentito in dovere di consigliarle subito prudenza. Non perché io creda che spetti a me dare pagelle sui nomi, ma perché penso che coi gruppi parlamentari vada costruito un rapporto positivo: da un lato rispettoso della linea uscita al congresso, ma al tempo stesso rispettoso dell’autonomia dei gruppi e degli orientamenti che ci sono. Costruire questa sintonia a me non pare così difficile se si fanno i passaggi giusti e non si calano dall’alto proposte chiuse e indiscutibili. Nei giorni scorsi ho sentito numerosi di voi ed ho registrato i malumori che sono emersi anche in queste ore. Ho ritenuto di rappresentare questo quadro problematico ad Elly perché ne tenesse conto”, ha spiegato ancora Bonaccini, che ai suoi ha detto che “il nostro compito non è organizzare i malumori e il dissenso, ma rappresentare ad Elly il quadro delle valutazioni che emergono, al solo fine di non sbagliare. E se ci riesce anche di individuare delle possibili soluzioni. Mi sono detto disponibile anche nelle prossime ore a confrontarci per fare passi avanti, come finirà, “dipende da noi, ma ovviamente dipende almeno altrettanto dalla segreteria”.
Il Pd di Elly Schlein ogni giorno prende la forma di un partito sempre più radicale di massa (Prm). Se l’operazione può avere successo nelle redivive piazze pone però seri dubbi sulla direzione intrapresa dalla neosegretaria su temi non secondari come la politica estera come si è visto nel dibattito al Senato.