La partita è delicata, le aziende, soprattutto Eni e Leonardo, assolutamente “strategiche” ed è vietato sbagliare.
Anche per questo Giorgia Meloni ha insistito per avere l’ultima parola nella scelta degli amministratori delegati delle big 5, le partecipate pubbliche di maggior rilievo con i vertici in scadenza nelle prossime settimane.
Diverso il discorso sulle presidenze, su cui invece ci potrebbe essere una sorta di riequilibrio tra le forze della maggioranza, in uno schema che vedrebbe due caselle a Fdi, due alla Lega e una a Forza Italia, in base al peso dei partiti ma anche delle società. Gli azzurri sarebbero stati accontentati con il posizionamento di Paolo Scaroni alla presidenza dell’Enel. La Lega punterebbe tutto sull’Eni, dove è praticamente certa la riconferma di Claudio Descalzi, manager molto apprezzato per impegno e risultati, anche nell’ottica di quel Piano Mattei per l’Africa, cavallo di battaglia della premier per contenere in prospettiva i flussi di migranti.
Il profilo giusto, però, ancora non ci sarebbe. A Leonardo lascerebbe la presidenza Luciano Carta (qualcuno dice per spostarsi a Poste), e al suo posto sarebbe pronto il generale Giuseppe Zafarana, attuale comandante della Guardia di Finanza in scadenza a maggio (in pole position ci sarebbe l’attuale comandante in seconda, il generale di corpo d’armata Andrea De Gennaro, che godrebbe della stima anche del sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano). Il confronto continua serrato, l’obiettivo è quello di avere l’intesa complessiva entro giovedì, quando andrà depositata la lista di Poste. Ma lo sforzo, assicurano da più parti nella maggioranza, è quello di chiudere tutto in nottata, domani al massimo. Il clima non è dei migliori. Matteo Salvini liquida le tensioni come “fantasie”, ma il suo capogruppo alla Camera, Riccardo Molinari, osserva in radio che “sarebbe bizzarro che fosse un solo partito ad indicare i nomi a discapito degli altri”.
Un messaggio in bottiglia agli alleati nemmeno troppo implicito. Ma sia Lega sia Fratelli d’Italia sono consapevoli che non possono uscire divisi da uno dei test più importanti per la destra per la prima volta al potere. I contatti e i confronti sono continui, anche perché oltre a presidenti e ad vanno individuati anche i consiglieri. Ma non se ne parla, assicura più di un ministro, nel corso del Cdm, che dura circa un’ora e mezza. Anche se a margine della riunione non sarebbe mancata l’occasione per qualche scambio. A sera ancora certezze non ce ne sono, e qualche manager che si sente ai margini della partita chiedono per vie traverse informazioni sperando di rientrare. Lo schema per gli amministratori che la premier presenta agli alleati (ai tavoli hanno preso parte anche il fidato sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, Gianni Letta a fianco ad Antonio Tajani per Fi, Alberto Bagnai e Andrea Paganella insieme a Salvini per la Lega) prevede una donna ai vertici di una delle 5, come aveva promesso in pubblico in occasione dell’8 marzo. Si dovrebbe trattare di Giuseppina di Foggia, attuale vicepresidente di Nokia, che dovrebbe sbarcare a Terna, mentre l’attuale ad Stefano Donnarumma dovrebbe traslocare – nonostante le resistenze iniziali soprattutto della Lega – all’Enel. A guidare l’Eni rimarrà Claudio Descalzi, uno dei pochi punti fermi fin da quando è iniziato il walzer delle nomine. Così come dovrebbe restare al suo posto l’amministratore delegato di Poste, Matteo Del Fante. La vera novità, su cui Meloni si è impuntata pur consapevole di scontentare il suo ministro della Difesa, è Roberto Cingolani. Che la premier ha voluto al suo fianco come consulente nel passaggio del testimone col governo Draghi e che ora vuole promuovere ad amministratore delegato di Leonardo. Crosetto avrebbe preferito Lorenzo Mariani, ad di Mbda che, nel borsino delle nomine sembra non trovare al momento nuova collocazione (ma era circolato il suo nome anche per Terna).