“Spaziale. Ognuno appartiene agli altri”. Un titolo evocativo, quello del Padiglione Italia, promosso dalla direzione generale creatività contemporanea del Ministero della Cultura. Cosa significa appartenere agli altri? Significa trovare gli anticorpi alla disillusione all’interno di una realtà, quella degli ultimi anni del nuovo millennio, plasmata attorno alla crisi culturale, economica, sanitaria, politica, geopolitica ed ecologica. Significa intravedere all’interno di questa complessità, solo in apparenza irreparabile e inestricabile, un’abbondanza di possibilità per affrontare insieme un futuro imprevedibile.
Nove interventi in nove luoghi fragili e in via di cambiamento, selezionati nel territorio italiano (Trieste, Taranto, Massa Lubrense, Ripa Teatina, Terraferma veneziana, Librino, Montiferru, Belmonte Calabro e Prato) germinati non attraverso il rigido obiettivo di costruire e presentare artefatti e prodotti finiti ma attraverso le relazioni tra quei luoghi e le persone che li abitano, attraverso la messa in atto di pratiche interlocutorie, riflessive e speculative che hanno saputo creare un meraviglioso intreccio tra architettura e visioni e intenzioni delle comunità locali.
I nove progetti del Padiglione Italia non sono progetti fatti per le persone, immaginati e sviluppati su scrivanie spazialmente e concettualmente lontane delle esperienze reali, ma sono progetti creati con le persone. Per e con, due preposizioni semplici che spiegano meglio di tante altre formule il senso del progettare: cercare qualcosa che non si conosce in anticipo, far parte, abitandolo, di un mondo dinamico di flussi, forze, persone e relazioni. Entrando in questo mondo dinamico l’architetto, l’autore, il progettista appartiene agli altri, è gli altri, racconta con la voce degli altri e mette in mostra, come i visitatori hanno potuto osservare nel Padiglione Italia alle Tese delle Vergini in Arsenale, opere collettive.
L’allestimento unisce i nove progetti in una trama unitaria che si snoda lungo un sentiero che rappresenta la sagoma stilizzata del nostro paese. Il progetto Concrete Jungle-Terraferma veneziana, uno tra i nove presenti nel Padiglione, racconta, con chiarezza e semplicità, il rapporto tra naturale e artificiale. La facciata esterna della Chiesa Parrocchiale di Gesù Divino Lavoratore di Marghera è stata trasformata, grazie alle idee e alle azioni degli abitanti della zona, in una parete di arrampicata. Da vent’anni l’associazione Sgrafa Masegni, insieme alle diverse comunità locali, utilizza lo spazio esterno alla chiesa per questa pratica sportiva. Concrete Jungle scopre il valore di queste azioni nate dal basso e le valorizza costruendo un ecosistema in grado di sostenerle. Lo spazio voluto e creato dalla comunità urbana è stato riqualificato e rigenerato – sostituendo le prese, disegnando nuove vie di risalita e fornendo nuove attrezzature – dalla comunità dei progettisti donando al territorio un servizio che, nato da mille madri e mille padri, ora appartiene a tutti.
Indagare, immaginare, esperire, co-progettare, trasformare. Queste sono le parole che mi risuonavano in mente camminando nel padiglione e queste, forse, potrebbero essere le parole chiave che sintetizzano la logica, il senso e il valore dei nove interventi presentati.
Barbara Lalle