Cambiamenti climatici e alluvione nell’Emilia Romagna. Musumeci: ‘Nessuno pensa alla prevenzione’

Geologi ed esperti del cambiamento climatico hanno tentato di fornire una spiegazione degli episodi critici che hanno coinvolto l’Emilia Romagna con le due alluvioni intense nel giro di poche settimane e che hanno causato   vittime. È naturale chiedersi perché le piogge abbiano colpito in maniera così violenta proprio quella zona d’Italia e perché con una tale frequenza, e quanto sia giusto in questo caso considerare il cambiamento climatico il principale responsabile.

Molti hanno accusato il cambiamento climatico di essere la causa principale della situazione tragica che sono stati costretti ad affrontare gli abitanti delle zone colpite, altri invece hanno posto l’attenzione su altri fattori determinanti. Dal punto di vista scientifico, non si può dire con certezza che il cambiamento climatico c’entri qualcosa con le alluvioni che hanno causato danni e disagi in gran parte delle regione Emilia Romagna. È vero però, che l’innalzamento delle temperature provoca un’intensificazione della bassa e alta pressione, e dei fenomeni metereologici che ne conseguono.

“Le condizioni di alta pressione che fiancheggiano questa depressione le impediscono di fluire da ovest verso est, seguendo il normale flusso della circolazione atmosferica. Ciò ha generato sulla Romagna questa enorme quantità di pioggia, – spiega Silvio Gualdi, senior scientist al Centro euromediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc) –  l’altro fattore che contribuisce a rendere questo evento eccezionale è il riscaldamento globale: un’atmosfera più calda contiene una maggiore quantità di vapore acqueo che, quando si verificano queste condizioni meteorologiche, è quindi in grado di produrre molta più pioggia“. Il cambiamento climatico ha potuto causare un carico di bassa pressione che è rimasto intrappolato tra le aree di alta pressione e per questo motivo non è riuscito a “scaricarsi” e ha insistito con le piogge proprio in quella zona d’Italia e nello specifico al confine tra monti e pianure, lungo la linea della catena appenninica.

Mauro Rossi, ricercatore Cnr-Irpi, ha affermato: “Sono caduti 200 mm di pioggia in 24 ore, è un evento eccezionale. Abbiamo misurato l’indice di rarità e la relazione con le franosità. Si tratta di un effetto dei cambiamenti climatici: questi fenomeni stanno diventando sempre più frequenti”.

L’umanità sta giocando una corsa contro il tempo per quanto riguarda il cambiamento climatico, come attestano anche le terrificanti notizie che arrivano da tutta Italia e dal resto del mondo su base quotidiana. Scienziati e attivisti ci avvertono da anni dell’urgente necessità di contenere l’aumento della temperatura globale entro 1,5° C rispetto ai livelli dell’era pre-industriale. Ma una recente ricerca dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMM) ha fatto emergere che potremmo presto raggiungere e superare questa soglia, oltre la quale potrebbe essere tutto perduto.

L’OMM stima che, nei prossimi quattro anni, ci sia un rischio del 66% che le temperature globali superino il limite dei 1,5° C. Anche se è probabile che tale innalzamento rappresenti un fenomeno temporaneo, dovuto alle naturali fluttuazioni della temperatura del pianeta, si tratta di un dato preoccupante.

Il segretario generale dell’Organizzazione, il professor Petteri Taalas, ha spiegato che: “Nonostante questo report non implichi che supereremo in maniera permanente il limite di 1,5° C stabilito dall’Accordo di Parigi, stiamo suonando l’allarme per la velocità sempre più alta con cui raggiungeremo questa soglia”. Secondo la ricerca, c’è il 98% di probabilità che uno dei prossimi quattro anni sia il più caldo mai registrato, e metterà a rischio persone, fauna selvatica ed ecosistemi su scala globale.

Oggi la temperatura media globale è di circa 1,15° C superiore ai livelli dell’inizio XX secolo. L’industrializzazione ha portato a un aumento delle emissioni di gas serra, causando l’accumulo di calore nell’atmosfera terrestre. Le temperature crescenti hanno causato una serie di effetti devastanti: ondate di calore, tempeste e altri eventi climatici estremi. Il caldo record sta anche danneggiando irreparabilmente i nostri ecosistemi, accelerando lo scioglimento dei ghiacciai polari, lo sbiancamento dei coralli e la diffusione di specie invasive.

Le soluzioni al cambiamento climatico vanno adottate subito

Un recente rapporto del Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC) ha però spiegato che non tutto è perduto, e potremmo, con grande impegno, limitare l’aumento della temperatura globale per non superare la soglia di 1,5° C. Le emissioni dovranno essere ridotte a metà entro i prossimi 7 anni. I Paesi sviluppati dovranno raggiungere la neutralità carbonica entro il 2040, ovvero dieci anni prima rispetto agli obiettivi attuali, e dovranno eliminare l’uso di combustibili fossili come il carbone entro la fine del decennio.

È necessario cambiare il modo in cui finanziamo i nostri sistemi energetici. Le sovvenzioni devono essere destinati all’energia pulita e gli investimenti a tecnologie di stoccaggio che possano equilibrare le fonti rinnovabili, che sono ancora instabili. E poi trovare fondi per la ricerca sulle tecnologie di cattura del carbonio, per ridurre i livelli di gas serra presenti nell’atmosfera con un ritmo di circa 8 volte quello attuale.

I Paesi sviluppati dovrebbero anche fornire un sostegno economico più consistente a quelli in via di sviluppo. Quasi tutti i giacimenti di carbone, petrolio e gas naturale dovrebbero poi rimanere inutilizzati per rispettare il budget di carbonio del mondo, e nessuna nazione dovrebbe essere esclusa da questo impegno.

Il tempo per agire è ora, come ribadiscono le autorità e le organizzazioni internazionali, cercando di spingere i governi a muoversi verso l’obiettivo comune di fermare i cambiamenti climatici ora che sembra essere già troppo tardi. Abbiamo ancora una piccola possibilità di farlo prima di raggiungere il punto di non ritorno.

“Mettiamoci in testa che viviamo in un territorio a rischio. E  che il processo di tropicalizzazione del clima ha raggiunto anche l’Italia. La domanda da porsi non è se un evento disastroso come quello di martedì avverrà di nuovo. Ma quando e dove si verificherà”. Il ministro Nello Musumeci, intervistato da ‘La Stampa’, fa il punto sullo stato dell’arte della tragedia che ha messo in ginocchio l’Emilia Romagna. Ma guarda al futuro sottolineando i ritardi nella prevenzione nella cura del territorio. Complici il fatalismo italiano e il cinismo delle istituzioni.

“Il problema – azzarda – è culturale, direi caratteriale: siamo un popolo fatalista”. L’ex governatore della Sicilia, oggi ministro della Protezione civile e del Mare, fotografa un’impreparazione sconfortante. “Nelle agende di tutti i governi, negli ultimi 80 anni, la fragilità del nostro territorio non è mai stato un tema davvero prioritario. Nessun dolo, comunque, solo miopia, a tutti i livelli. Noi proviamo a commuoverci di fronte alle tragedie. Poi però dimentichiamo e non impariamo la lezione”. Musumeci non è tenero. “Sono siciliano, ricordo il terremoto del Belice del 1968. Da allora a oggi lo Stato italiano ha speso oltre 140 miliardi di euro per interventi di ricostruzione dopo calamità naturali, oltre a piangere più di 6. 700 morti. Si è seguita una linea cinica e perversa. Pensando che le promesse sulla ricostruzione producessero più consenso rispetto a una sana attività di prevenzione”.

Tra i primi interventi per invertire la rotta due proposte di legge. Una per velocizzare la fase di ricostruzione post calamità, che Musumeci  conta i presentare entro 15 giorni. “Punta a snellire le procedure e a fissare i termini per la conclusione delle opere. Perché la ricostruzione non può durare 40 o 50 anni, come è avvenuto. L’altra legge sarà per semplificare la prevenzione strutturale. Che non può essere frenata da vincoli ambientali discutibili”. Qualche esempio? “Prendiamo gli argini dei fiumi – spiega Musumeci –  spesso vengono costruiti con la terra e non usando blocchi di cemento. Perché non ci sono le necessarie autorizzazioni ambientali”.

Serve una mappatura dei territori più fragili e la pianificazione di interventi necessari. Alcuni a breve termine altri che necessitano di più tempo. Innanzitutto fare in modo che l’acqua piovana arrivi al mare il prima possibile.  Con un intervento sul reticolo fiumario primario e secondario. “Ci sono fiumi e torrenti asciutti che potrebbero tornare ad accogliere l’acqua. Ora dobbiamo pensare a un sistema di raccolta d’acqua per assorbire cinquecento millimetri in 48 ore”. E ancora: un piano nazionale per l’accumulo dell’acqua. A partire dalla realizzazione di nuove dighe statali e regionali. “Sono 40 anni che non si fanno e svolgono una funzione essenziale”, sottolinea Musumeci. Che conferma l’ulteriore stanziamento di risorse per l’emergenza in Emilia Romagna.

Altri 20 milioni alla Regione per le spese di gestione di questa fase. “Poi sarà previsto uno stop agli obblighi di natura contributiva e fiscale nelle zone più colpite. Ma è solo l’inizio, dopo la fase di emergenza si passa a quella della ricostruzione”. I danni sono enormi, ma è impossibile al momento una stima precisa, conclude il ministro.

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