L’inflazione nell’area dell’euro è troppo alta ed è destinata a rimanere così per troppo tempo. Ma la natura della sfida dell’inflazione nell’area dell’euro sta cambiando. Stiamo assistendo a un calo del tasso di inflazione mano mano che gli shock che originariamente avevano fatto salire l’inflazione stessa diminuiscono, e le azioni di politica monetaria messe in campo da Bruxelles vengono iniettate nel sistema economico europeo. Ma è un percorso non certo breve, avviato ormai mesi fa. Perché l’inflazione persiste? Perché diversi agenti economici cercano di trasferire i costi gli uni agli altri.
Questo l’incipit dell’ultimo discorso tenuto da Christine Lagarde a Sintra, in Portogallo, il 27 giugno. Un messaggio potente, che travolge nuovamente i mercati, e le attese. Sebbene fosse previsto da tempo nelle proiezioni della Bce questo continuo rimbalzo inflazionistico, spiega la Presidente della Bce, la Banca centrale europea ha deciso di rivedere ancora i tassi, nuovamente al rialzo a luglio.
Un annuncio che ha spiazzato parecchi analisti, dopo mesi di aumenti pesanti per l’economia e difficili da sostenere per le famiglie. “I responsabili delle politiche monetarie devono affrontare questa dinamica con decisione per garantire che non conduca a una spirale che si autoavvera, alimentata da un disancoraggio delle aspettative di inflazione” dice Lagarde.
Quindi, la domanda chiave che dobbiamo affrontare oggi è come possiamo spezzare l’inflazione persistente? Nel Consiglio direttivo della Bce, sono due gli elementi ritenuti fondamentali: portare i tassi a livelli “sufficientemente restrittivi” e mantenerli lì “per tutto il tempo necessario”.
Lagarde nel suo discorso spiega come l’economia dell’area dell’euro abbia affrontato una serie di shock inflazionistici sovrapposti dalla fine della pandemia. Dall’inizio del 2022, questi shock hanno aumentato il livello dei prezzi dell’11% e ci hanno portato a trasferire oltre 200 miliardi di euro nel resto del mondo sotto forma di una tassa sulle ragioni di scambio. In un contesto come questo, la reazione naturale di ogni agente economico è cercare di trasferire questi aumenti di prezzo ad altri attori dell’economia.
Nell’area dell’euro, possiamo identificare due fasi distinte in questo processo, illustra la numero uno della Bce. La prima fase è stata guidata dalle imprese, che hanno reagito al forte aumento dei costi dei fattori di produzione difendendo i propri margini e trasferendo l’aumento dei costi sui consumatori. In sostanza – passaggio che potremmo definire quasi storico questo – Lagarde sostiene che siano state le imprese a scatenare e alimentare l’inflazione, scaricandola su tutti noi.
E il problema è l’intensità di questa reazione, che definisce “insolita”. Durante i precedenti shock, le imprese avevano avuto la tendenza ad assorbire l’aumento dei costi nei margini di profitto, perché una crescita più lenta rende i consumatori meno disposti a tollerare aumenti dei prezzi. Ma le condizioni speciali che abbiamo vissuto l’anno scorso hanno ribaltato questa regolarità, afferma.
L’ampiezza della crescita dei costi di input ha reso più difficile per i consumatori giudicare se gli aumenti dei prezzi fossero causati da costi più elevati o profitti più elevati, alimentando un trasferimento più rapido e più forte. “Allo stesso tempo, la domanda repressa nei settori in riapertura, i risparmi in eccesso, le politiche espansive e le restrizioni dell’offerta causate da colli di bottiglia hanno dato alle aziende più spazio per testare la domanda dei consumatori con prezzi più alti”.
Per questo motivo, i profitti unitari hanno contribuito per circa due terzi all’inflazione interna nel 2022, mentre nei 20 anni precedenti il loro contributo medio era stato di circa un terzo. Questo a sua volta ha portato gli shock ad alimentare l’inflazione molto più rapidamente e con forza che in passato.
Questa prima fase sta però ora iniziando a scemare, continua Lagarde. In gran parte grazie ai prezzi dell’energia più bassi, l’inflazione dei prezzi alla produzione su base annua è già scesa del 42% rispetto al picco della scorsa estate. Anche se questo richiede tempo per influenzare i prezzi più in generale.
Allo stesso tempo, l’elevata inflazione ha intaccato la domanda interna, che si è contratta del 2% negli ultimi due trimestri e l’impulso al consumo creato dal risparmio in eccesso sta svanendo. I primi effetti delle politiche restrittive Ue stanno diventando visibili, specialmente in settori come la produzione e l’edilizia che sono più sensibili alle variazioni dei tassi di interesse.
Di fronte a questa combinazione – calo dei costi di input e calo della domanda – abbiamo assistito a un marcato rallentamento della crescita degli utili nella maggior parte dei settori nel primo trimestre di quest’anno. Ma la seconda fase del processo inflazionistico sta ora iniziando a rafforzarsi.
I lavoratori finora – prosegue nel suo discorso la Presidente della Bce – hanno perso tantissimo a causa dello shock inflazionistico, assistendo a forti diminuzioni dei salari reali, ma ora si sta innescando un processo di “recupero” salariale sostenuto mentre cercano di recuperare le loro perdite.
Ma visto che la contrattazione salariale in molti Paesi europei è pluriennale, questo processo si allungherà naturalmente nell’arco di diversi anni. Nelle sue ultime proiezioni, la Bce prevede che i salari cresceranno di un ulteriore 14% da qui alla fine del 2025 e che recupereranno completamente il loro livello pre-pandemia in termini reali.
Ma c’è dell’altro. Se da un lato questo “recupero” è stato a lungo preso in considerazione nelle prospettive di inflazione della Banca centrale, l’effetto sull’inflazione derivante dall’aumento dei salari è stato amplificato da una crescita della produttività inferiore a quella prevista in precedenza, cosa che sta portando a costi unitari del lavoro più elevati.
Due caratteristiche dell’attuale ciclo economico stanno contribuendo a questa dinamica, ed entrambe potrebbero persistere, spiega Lagarde.
Il primo è la resilienza dell’occupazione rispetto alla crescita del Pil. “In genere, ci saremmo aspettati che il rallentamento della crescita economica nell’ultimo anno riducesse in qualche modo la crescita dell’occupazione. Ma negli ultimi tre trimestri in particolare, il mercato del lavoro ha funzionato meglio di quanto suggerirebbe una regolarità basata sulla legge di Okun. Questa disconnessione riflette in parte l’aumento dell’accumulo di manodopera da parte delle imprese in un contesto di carenza di manodopera. Ciò sta pesando sulla crescita della produttività e, con la disoccupazione che dovrebbe diminuire ulteriormente, la motivazione delle imprese ad accumulare manodopera potrebbe non scomparire rapidamente”.
Il secondo elemento che contribuisce all’indebolimento della produttività è la composizione della crescita dell’occupazione, che si concentra in settori con una crescita della produttività strutturalmente bassa.
Dall’inizio della pandemia, l’occupazione è cresciuta maggiormente nell’edilizia e nel settore pubblico, che hanno registrato entrambi un calo della produttività, e nei servizi, che hanno registrato solo una modesta crescita della produttività. Queste tendenze potrebbero persistere anche in alcuni di questi settori nei prossimi anni, data la relativa debolezza dell’industria manifatturiera e gli spostamenti a lungo termine verso l’occupazione nei servizi. Tutto ciò significa, annuncia Lagarde, che dovremo affrontare diversi anni di aumento dei salari nominali, con pressioni sui costi unitari del lavoro esacerbate da una crescita della produttività contenuta.
In questo contesto, la politica monetaria per la Bce a guida Lagarde deve raggiungere due obiettivi chiave. Primo, riportare l’inflazione all’obiettivo del 2% “in modo tempestivo”.
Secondo, fare in modo che le imprese assorbano l’aumento del costo del lavoro nei loro margini. L’analisi della Bce sottolinea i rischi a cui andremmo incontro se le aziende cercassero invece di difendere i propri margini. Ad esempio, se le imprese dovessero recuperare il 25% del margine di profitto perduto previsto dalle proiezioni, l’inflazione nel 2025 sarebbe sostanzialmente superiore alla linea di base, quasi al 3%.
Ma le scelte di Bruxelles di politica economica, dati alla mano, restituiscono una fotografia nitida oggi: che le banche si stanno arricchendo sempre di più, mentre le famiglie arrancano.
E qui arrivano le note dolentissime. Lagarde chiarisce che non hanno ancora visto l’impatto degli aumenti cumulativi dei tassi decisi dallo scorso luglio, pari a 400 punti base, “ma il nostro lavoro non è finito. Salvo un cambiamento sostanziale delle prospettive, continueremo ad aumentare i tassi a luglio” annuncia.
Di quanto? Ancora non si sa, ma precisa che “dipenderà da come l’economia e le varie forze si evolveranno nel tempo. Ma dovrà essere comunque continuamente rivalutato nel tempo. Dobbiamo portare i tassi in un territorio sufficientemente restrittivo”. Per quanto? “Per tutto il tempo necessario”.
L’area euro non aveva attraversato una fase sostenuta di rialzi dei tassi dalla metà degli anni 2000 e non ha mai visto i tassi salire così rapidamente. E qui si pone la questione, nodale, di quanto velocemente e con forza la politica monetaria sarà trasmessa alle imprese, attraverso gli interessi, e alle famiglie, attraverso il pagamento del mutuo, già alle stelle dopo gli ultimi rialzi.
Per le imprese, l’analisi della BCE rileva che gli shock di politica monetaria sono in genere trasmessi più rapidamente e con forza al settore manifatturiero, mentre c’è di solito un impatto più contenuto e ritardato sui servizi, che potrebbe, come nei cicli precedenti, ritardare oppure anche restare escluso dagli effetti dell’inasprimento delle politiche più a lungo rispetto al passato, data la forza della domanda e l’occupazione nel settore. Per le famiglie, invece, è dimostrato che ci vorrà più tempo.
Durissima la reazione del governo italiano. A scagliarsi contro Lagarde è in primi Giorgia Meloni, nelle comunicazioni alla Camera in vista del Consiglio europeo di domani e venerdì. “Non si può non considerare il rischio che l’aumento costante dei tassi finisca per colpire più le nostre economie che l’inflazione” ha detto la premier. L’inflazione è una “odiosa tassa occulta che colpisce soprattutto i meno abbienti, chi ha un reddito fisso, dai lavoratori ai pensionati, per questo è certamente giusto combatterla con decisione”, ha scandito.
Ma la “semplicistica” ricetta dell’aumento dei tassi intrapresa dalla Banca centrale europea non appare agli occhi di molti la strada più corretta da perseguire, considerato che nei nostri Paesi l’aumento generalizzato dei prezzi non è figlio di una economia che cresce troppo velocemente, ma di fattori endogeni, rimarca, primo fra tutti la crisi energetica causata dal conflitto in Ucraina. “Non si può non considerare il rischio che l’aumento costante dei tassi finisca per colpire più le nostre economie che l’inflazione e cioè che la cura si riveli più dannosa della malattia”.
L’aumento dei prezzi non è figlio di un’economia che cresce troppo velocemente ma di fattori endgeni, primo tra tutti la crisi energetica. Non si può non siderare il rischio che l’aumento costante dei tassi sia una cura più dannosa della malattia”. Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nelle comunicazioni alla Camera in vista del Consiglio europeo.
Anche il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani dice di non condividere la posizione della Bce, perché “così rischiamo la recessione. Non credo che vada in direzione della crescita continuare ad aumentare i tassi di interesse, soprattutto non condivido gli annunci fatti in largo anticipo come fatto da Lagarde. Noi soffriamo di un’inflazione diversa dagli Usa, è provocata dal costo delle materie prime a causa della guerra, oggi aumentare il costo del denaro significa mettere le imprese in difficoltà”.
Dello stesso avviso il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso. “Le scelte della Banca centrale europea, davvero poco comprensibili, fino a oggi non hanno avuto efficacia“, ha detto, sottolineando che “i motivi dell’inflazione sono esterni, non interni all’Ue, mentre il rischio evidente a tutti è la recessione. In questo momento l’Italia ancora regge, ed è tra le grandi potenze occidentali l’unica che ancora cresce in maniera che direi significativa, ma la Germania è in recessione piena. E condizionerà anche noi”.
In disaccordo con la decisione della Bce anche Matteo Salvini: “La Banca Centrale Europea, contro l’evidenza dei suoi stessi studi ed il buonsenso, annuncia di voler alzare ancora i tassi, colpendo pesantemente famiglie e imprese e non favorendo la crescita”, sottolinea il vicepremier e ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Matteo Salvini. “Quella annunciata da Christine Lagarde è una scelta insensata e dannosa, anche perché l’inflazione è stata causata dai prezzi dell’energia. La Lagarde ha un mutuo a tasso variabile? Sa di quanto stanno aumentando le rate? A chi fanno comodo queste decisioni assurde?”, chiede Salvini. “Chiederemo – aggiunge – un incontro con il rappresentante italiano nel board della Bce per discutere il problema e analizzare soluzioni”.