Danze, ghirlande di fiori ma anche il ‘bindi’ per le signore, la tradizionale decorazione posta fra le sopracciglia nel punto del sesto chakra, quello dell’energia, riservato anche alla premier italiana Giorgia Meloni.
L’India di Narenda Modi ha accolto così i Grandi del Pianeta sbarcati a New Delhi per il G20, tra i tipici sorrisi indiani e i saluti a mani giunte sul petto. Con la direttrice del Fmi Kristalina Georgieva che non ha resistito al ritmo del tradizionale Sambalpuri: appena sbarcata nella capitale indiana si è fatta trascinare dal ritmo dello spettacolo in suo onore e si è unita alla danza divertita. L’impegno ai tavoli di lavoro per il leader è stato per il tutto il weekend, ma intervallato da momenti più leggeri, come la cena di gala nei saloni di Rashtrapati Bhavan, residenza della Presidente Droupadi Murnu: i quattrocento invitati intrattenuti da un concerto dal vivo, nel quale si esibiranno i migliori musicisti delle diverse tradizioni del Paese, accompagnati da danzatori.
Mentre i capi di stato impegnati nelle sessioni plenarie del summit dedicate ai temi ‘One Earth’ e ‘One Family’, oltre che nei vari bilaterali, un programma parallelo, ispirato alle coltivazioni biologiche e ai cereali, terrà impegnate le first lady e ai compagni dei leader.
Ucraina e intelligenza artificiale sono stati tra i principali temi al centro del bilaterale che il premier Giorgia Meloni ha avuto con il suo omologo britannico Rishi Sunak a margine del G20 che in India. L’incontro è stato il primo di una serie già fissati con altri leader, fra i quali il più attenzionato è quello con il premier cinese Li Qiang, alla luce soprattutto della riflessione che Roma sta facendo sulla Via della Seta e dell’impatto geopolitico che potrebbe avere l’eventuale decisione di compiere un passo indietro.
“Alla vigilia del G20 in India ho incontrato il primo ministro del Regno Unito Rishi Sunak. Una piacevole e utile occasione di confronto sui principali temi internazionali, sulle sfide poste dall’intelligenza artificiale e su una questione fondamentale per entrambi i nostri governi come quella legata alle migrazioni, sulla quale siamo pronti a intensificare la nostra cooperazione bilaterale”, ha scritto su X Meloni, che durante i lavori del summit interviene alla sessione sul clima e a quella sulla transizione digitale. Una nota ha inoltre informato che i due leader hanno affrontato il tema prioritario del continuo sostegno all’Ucraina con l’impegno a fornire garanzie di sicurezza e concordato sull’esigenza di guardare agli sforzi congiunti necessari allo sviluppo dell’Africa come un’opportunità condivisa.
Con Li Qiang il presidente del Consiglio prosegue “il dialogo avviato con il presidente cinese Xi Jinping l’anno scorso al G20 di Bali e nei giorni scorsi con la visita del ministro degli Esteri Antonio Tajani”, hanno fatto sapere ancora le stesse fonti, specificando che “l’incontro è stato concordato tra le due delegazioni”. Secondo quanto riferito dall’inviato del Corriere della Sera, Marco Galluzzo, però, sarebbero stati i cinesi a richiederlo, così come del resto avrebbero fatto Al Sisi e i vertici della Banca mondiale. Si tratta, evidentemente, di un segnale molto forte dell’attenzione e della centralità che Meloni ha saputo conquistarsi sulla scena globale in questo anno di governo, nonché del ruolo strategico ora riconosciuto al nostro Paese e, nel caso della Cina, incarnato dalle preoccupazioni di Pechino in vista della decisione italiana sulla Via della Seta.
Da tempo si parla di una possibile uscita dell’Italia dall’accordo, e la visita di Tajani in Cina sembra essere stata un primo passaggio in vista di una decisione ufficiale, che potrebbe arrivare entro la fine dell’anno: nel corso della visita Tajani ha usato parole piuttosto caute sul tema, facendo intendere però che sull’uscita dall’accordo sono in corso negoziati tra i due paesi.
Nei giorni scorsi, dopo essere arrivato in Cina, Tajani aveva parlato piuttosto negativamente dell’accordo, dicendo ad alcuni giornalisti che «non abbiamo ottenuto grandi risultati con la Via della Seta, ma questo poco importa; noi siamo intenzionati ad andare avanti con il rafforzamento delle relazioni commerciali». La risposta cinese è arrivata lunedì nel corso dell’incontro di Tajani con Wang Yi, con quest’ultimo che invece ha lodato i risultati raggiunti grazie all’accordo: «La cooperazione nell’ambito della nuova Via della Seta è stata ricca di risultati: negli ultimi 5 anni l’interscambio commerciale tra i due paesi è cresciuto da 50 a 80 miliardi di dollari».
A margine dell’incontro, Tajani non ha detto apertamente che l’Italia uscirà dall’accordo, ma ha fatto capire che il governo italiano ci sta ragionando. «Credo che l’attenzione e l’apprezzamento per il prodotto italiano, indipendentemente dalla decisione [sull’adesione all’accordo, ndr] non cambierà. Certamente, mentre stiamo valutando la partecipazione alla Via della Seta, vogliamo rafforzare l’accordo di cooperazione rafforzata. Quindi continueremo a lavorare con la Cina dal punto di vista economico, industriale e commerciale».
La “Belt and Road Initiative” è un grande progetto infrastrutturale annunciato dal presidente cinese Xi Jinping nel 2013, che prevede l’investimento di centinaia di miliardi di dollari in vari paesi con l’obiettivo esplicito di rafforzare le infrastrutture commerciali nel mondo, e con quello implicito di espandere l’influenza della Cina su numerosi paesi tra Africa, Asia ed Europa. Quasi tutti i governi occidentali, a partire da quello degli Stati Uniti, si sono opposti al progetto considerandolo un tentativo da parte della Cina di aumentare la propria influenza economica e politica nel mondo.
Al netto delle ambizioni geopolitiche cinesi che si celano dietro questo progetto, che non può non essere osteggiato dagli Stati Uniti, vi sono delle opportunità non trascurabili per l’Italia e in particolare per i suoi porti. Trieste e Genova potrebbero infatti essere i punti di arrivo della cosiddetta Via della Seta Marittima del 21° Secolo, ovvero la rotta marittima della Bri. La partecipazione al progetto cinese potrebbe quindi portare all’ammodernamento dei porti strategici italiani e all’aumento del flusso di merci grazie agli investimenti e ai finanziamenti provenienti da Pechino.
Il punto è che nel caso cinese, nell’ambito della costruzione delle infrastrutture connesse alla Bri, l’esercizio della diplomazia economica in alcuni casi rischia di degenerare nella cosiddetta “trappola del debito”
Si parla di trappola del debito quando un paese grande e ben dotato dal punto di vista economico e finanziario fa credito a un paese più piccolo e mediamente povero il quale, a un certo punto, non è più in grado di onorare il suo alto debito. Il paese indebitato si trova quindi ostaggio della volontà del creditore il quale può “ricattarlo” o chiedere delle contropartite per il mancato pagamento del debito, come la cieca obbedienza politica o l’espropriazione di beni e risorse.Secondo un rapporto dello scorso anno del Center for Global Development (Cgd)otto paesi che hanno aderito alla Bri sarebbero ad alto rischio di cadere nella trappola del debito. La Cina detiene una fetta rilevante del debito estero di questi paesi, i quali potrebbero finire per perdere, di fatto, parte della loro sovranità, poiché le loro scelte politiche, economiche e finanziare verrebbero vagliate e necessiterebbero dell’approvazione da parte dei creditori.
L’Italia aderì al progetto nel marzo del 2019, durante il primo governo di Giuseppe Conte, che firmò un “memorandum d’intesa” con il governo cinese, tra molte polemiche. La questione si sta riproponendo in questi mesi perché l’accordo ha una durata di cinque anni e si rinnova automaticamente: per uscirne, il governo Meloni deve inviare una disdetta scritta con tre mesi di anticipo, e questo significa che ha tempo fino alla fine del 2023.
Lo scorso anno, in campagna elettorale, Meloni era stata apertamente critica nei confronti della Cina e della “Belt and Road”, mentre dopo essere stata eletta era stata più cauta e interlocutoria. Negli ultimi mesi comunque, anche per via dell’avvicinamento di Meloni a posizioni più atlantiste, cioè allineate all’Occidente e alla NATO, la questione di cosa fare con la Via della Seta è diventata più urgente. Per il momento il governo non ha comunicato nulla di ufficiale al riguardo, ma negli scorsi mesi sui giornali sono uscite varie indiscrezioni secondo cui in realtà la decisione di uscire dall’accordo sarebbe già stata presa.
Giorgia Meloni guarda oltre la Via della Seta e, dopo l’incontro con il premier cinese Li Qiang a margine del G20, sembra delinearsi la strada per un’uscita soft dell’Italia dall’accordo infrastrutturale-commerciale, soluzione di cui anche il partner avrebbe ormai preso atto, nel comune impegno a rilanciare il rapporto a 360 gradi e a mantenerlo nei canali della solida amicizia. Per certi versi, era l’appuntamento più delicato dei tre giorni a New Delhi,
L’impegno per l’ambiente ha segnato la cerimonia conclusiva del summit. Prima di lasciare l’avveniristico Centro Congressi tutti i leader politici invitati a un gesto antichissimo, ma che guarda al futuro: ciascuno di loro pianterà una giovane pianticella, originaria del proprio Paese. Sarà un ulivo a rappresentare l’Italia.