Il Consiglio dei ministri ha varato il pacchetto di misure sui migranti annunciate nei giorni scorsi dalla premier Giorgia Meloni.
Tra le misure del Cdm: si allungano a 18 mesi i tempi massimi del trattenimento ai fini del rimpatrio di chi arriva irregolarmente in Italia.
“Porteremo una modifica del termine di trattenimento nei Centri di permanenza per i rimpatri di chi entra illegalmente in Italia – ha spiegato la premier Meloni – che verrà alzato al limite massimo consentito dalle attuali normative europee: 6 mesi, prorogabili per ulteriori 12, per un totale di 18 mesi.
Quindi tutto il tempo necessario, non solo per fare gli accertamenti dovuti, ma anche per procedere con il rimpatrio di chi non ha diritto alla protezione internazionale”.
“Daremo oggi mandato al Ministero della Difesa di realizzare nel più breve tempo possibile le strutture per trattenere gli immigrati illegali – ha detto, a quanto si apprende, la premier in Cdm -. Anni di politiche immigrazioniste hanno fatto sì che oggi, in Italia, siano pochissimi i posti disponibili nei Cpr. I nuovi Cpr che verranno realizzati dovranno essere in località a bassissima densità abitativa e facilmente perimetrabili e sorvegliabili. Non si creerà ulteriore disagio e insicurezza nelle città”. Le “due proposte saranno inserite nel Dl Sud per renderle immediatamente efficaci”.
Le misure su migranti e Cpr entrano nel decreto per il Sud: Dpcm definirà i criteri per individuare le sedi delle strutture
Le misure sui migranti varate dal Consiglio dei ministri di oggi, ossia l’allungamento a 18 mesi del tempo massimo di trattenimento per il rimpatrio e la previsione di nuovi Cpr, entrano all’interno del decreto legge per il Sud già approvato il 7 settembre, quello che tra le altre cose istituisce la Zes unica per il Mezzogiorno e stanzia dei fondi per Lampedusa. A quanto si apprende da fonti di governo, in Consiglio dei ministri c’è stata una nuova delibera sul quel provvedimento, che non era ancora stato pubblicato in Gazzetta ufficiale. Come spiegato dalla premier Giorgia Meloni, si dà “mandato al Ministero della Difesa di realizzare nel più breve tempo possibile le strutture per trattenere gli immigrati illegali”, da realizzare “in località a bassissima densità abitativa e facilmente perimetrabili e sorvegliabili”. I criteri per individuare le aree interessate, a quanto si apprende, saranno definiti da un Dpcm di prossima uscita.
“Desidero esprimere – ha detto Meloni – grande soddisfazione per la compattezza e per il grande lavoro di squadra di tutto il Governo per far fronte all’emergenza immigrazione e per trovare soluzioni concrete alla forte pressione esercitata dai flussi di immigrati irregolari sulle nostre coste. È la conferma che, su questi temi, come su tantissimi altri, tutto il centrodestra ha la stessa visione e che tutti lavorano nella stessa direzione, a dispetto di quello che si legge e si tenta di raccontare in questi giorni”.
“La presenza della presidente von der Leyen a Lampedusa – ha detto, come si apprende, la premier in Cdm – ieri è molto importante anche da un punto di vista simbolico. La presenza dell’Europa ai confini più esposti all’immigrazione illegale di massa sottolinea che quelli di Lampedusa non sono solo confini italiani ma anche europei. Ora il Governo seguirà con grande attenzione, passo dopo passo, gli impegni che l’Europa si è assunta con l’Italia, a partire dall’impegno per sbloccare in tempi rapidi le risorse previste dal Memorandum con la Tunisia”.
“Dispiace constatare che parte delle forze politiche italiane ed europee, per ragioni ideologiche o, peggio, per calcolo politico, remino contro e facciano di tutto per smontare il lavoro che si sta portando avanti. Mi riferisco alla lettera dell’Alto rappresentante per la politica estera europea Borrell, agli appelli dei socialisti europei e alle prese di posizione di diversi esponenti della sinistra ma non solo. Tutte azioni che vanno nella medesima direzione di provare a sostenere che nessuno dei Paesi del Nordafrica è uno Stato sicuro con il quale è possibile accordarsi per fermare le partenze o per rimpatriare gli immigrati illegali. In sostanza, la volontà della sinistra europea è rendere ineluttabile l’immigrazione illegale di massa”.
“La presidente del Consiglio – dice la segretaria del Pd Elly Schlein – che professava l’uscita dall’euro, il blocco navale e il taglio delle accise sulla benzina, la difesa dei lavoratori, tanto per citarne alcuni, si è dimostrata campionessa mondiale di boomerang che poi tornano addosso al Paese. Si ricordi che al governo c’è lei e si impegni a gestire il fenomeno migratorio anziché attaccare l’opposizione, perché a Lampedusa dei suoi slogan traditi non se ne fanno nulla e hanno bisogno di fatti”.
Dopo un calo degli sbarchi a Lampedusa, in occasione della visita congiunta della premier Giorgia Meloni e della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, sull’isola sono ripresi gli arrivi dei migranti. Il Governo, nell’ultimo Consiglio dei ministri, ha varato nuove norme straordinarie, ma non solo: “Al prossimo Consiglio europeo informale di ottobre l’Italia chiederà agli altri Stati membri di assumere le decisioni necessarie e conseguenti, soprattutto in tema di blocco delle partenze illegali dal Nord Africa”, ha annunciato la leader di Fratelli d’Italia. Ma come si può attuare lo stop e perché si è assistito a un aumento degli arrivi sulle coste italiane? Che fine ha fatto il blocco navale? A queste domande, ai microfoni di Virgilio Notizie, ha risposto l’ammiraglio di Divisione (R) Nicola De Felice, autore del libro Fermare l’invasione – Le ragioni del blocco navale: “Il blocco navale in realtà non è mai stato applicato”.
La situazione a Lampedusa: i trasferimenti programmati per svuotare la struttura, infatti, sono saltati perché l’area di transito di Porto Empedocle è ormai stracolma.
L’intervista all’ammiraglio Nicola De Felice
“Un blocco navale in chiave moderna, non certo con le modalità risalenti ai tempi di Napoleone, è possibile da attuare, ma occorrono le giuste direttive. Non significa, quindi, bloccare in tutto e per tutto i porti, ma piuttosto consiste in una interdizione navale sulle sole imbarcazioni nelle acque territoriali del Paese in questione. In questo caso della Tunisia, da cui proviene la maggior parte dei migranti”.
Perché non si è proceduto con questo tipo di strategia?
“Per prima cosa occorre il consenso del Paese di transito, quindi del Governo di Tunisi, all’intercetto e sequestro delle imbarcazioni, e all’arresto degli scafisti. Serve anche un’attività precedente di convincimento e collaborazione con lo Stato in questione, che deve prevedere una cooperazione diplomatica, militare ed economica con il Paese stesso. Insomma, non stiamo parlando di mettere le navi davanti alle coste della Tunisia. Certo, per attuare un blocco navale di questo tipo occorrono le persone giuste nei posti giusti”.
“Il Commissario straordinario all’immigrazione non è sufficiente e soprattutto non è la figura più indicata. Un prefetto o un questore hanno una visione più orientata all’interno, all’Italia, e hanno il solo mandato di distribuire i migranti che arrivano sulle coste. Lo stesso ministro dell’Interno (Matteo Piantedosi, ndr) ha un’esperienza maturata nel campo della gestione dell’ordine e della sicurezza interna del nostro Paese”.
Si dovrebbe nominare un Commissario straordinario su modello di un incaricato speciale come quello che a suo tempo ha gestito la Brexit, permettendo un dialogo con il Regno Unito per trovare una soluzione di compromesso. Servirebbe un mandato a un responsabile, magari italiano, che possibilmente abbia un’esperienza militare e diplomatica, e una conoscenza dell’area del Maghreb e della Sicilia. Con le giuste deleghe potrebbe tenere i contatti con i Paesi di origine (nella regione sub-sahariana, ndr) e di transito dei migranti, coordinando il pattugliamento congiunto in acque territoriali tunisine”.
Il problema delle partenze dalla Tunisia va inquadrato in una dimensione più ampia e la stessa Tunisia è alle prese con gli effetti di una migrazione dai confini sud del proprio territorio. Occorre sicuramente la collaborazione del Governo di Tunisi, che ha tutto l’interesse a tutelare le proprie frontiere meridionali, ma non è utopia pensare a un intervento strutturato: ci sono diversi esempi di attività analoghe messe in campo in altre aree. Il primo è il Patto di amicizia siglato dalla stessa Italia nel 2008 con la Libia, che prevedeva il pattugliamento da parte della Guardia di finanza italiana con le autorità locali libiche, oltre a un ingente finanziamento per ricostruire le infrastrutture libiche. I dati statistici mostrano che nel 2009, 2010 e parte del 2011 le partenze si erano pressoché azzerate. Si è trattato di un’attività di pattugliamento congiunto che ha ottenuto successo. Ma ci sono anche due altri due esempi: il pattugliamento in acque somale, con il consenso Governo di Mogadiscio, contro il fenomeno della pirateria. Prevede l’impiego di navi europee, con un mandato europeo in vigore dal 2008, che permette di effettuare attività di intercetto e sequestro dei barchini usati dai pirati, con arresto dei criminali. L’ultimo esempio è anche il più recente con l’accordo, siglato a novembre 2022 tra Francia e Regno Unito, per il contrasto alle partenze di migranti clandestini nel Canale della Manica. Prevede l’interdizione navale davanti alle coste francesi di Calais, ma anche un rafforzamento della polizia a terra e pattugliamento congiunto, con un investimento complessivo di 500 milioni di euro”.
Missione Sofia era basata su 4 livelli di operazione: la raccolta di informazioni di intelligence davanti dalle coste libiche; il contrasto al traffico di esseri umani in alto mare, tra le acque territoriali italiane e quelle libiche; la possibilità di ingresso nelle acque territoriali libiche; l’ipotesi di scendere a terra e distruggere i siti dei trafficanti. Ma l’autorità politica europea non ha mai autorizzato gli ultimi due livelli. Il risultato è stato negativo, soprattutto per l’Italia, di fatto costretta a intervenire nel soccorso in mare, con le navi militari che fungevano da ‘pull factor’, da fattore di spinta per le partenze.
Va ricordato che lo stesso Regno Unito, che era ancora parte dell’Ue, lasciò per primo la missione Sofia parlando proprio di ‘pull factor’. Ora la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha presentato un piano in 10 punti che potrebbe essere positivo, ma temo che non sia sufficiente. Per esempio, le ong che operano in mare spesso battono bandiera di un Paese, ma questo non si fa carico, come invece previsto dal Trattato di Dublino, dell’accoglienza e protezione civile per i richiedenti asilo politico che sono tratti a bordo. Io penso che oggi si dovrebbe mettere piede in Tunisia, agire in loco.