Il governo Meloni sembra destinato a pagare dazio sui fronti a lui più cari, o quanto meno identitari: sul dramma migranti è clamorosamente fallito l’accordo con la Tunisia di Saied, e gli sbarchi a Lampedusa sono ripartiti. Il ‘piano Mattei’ sull’hub petrolifero è rimasto poco più che un’idea. Inoltre abbiamo speso un fiume di denaro pubblico regalato alla ‘odiata’ Bruxelles (circa un miliardo) per non esserci messi in regola con le direttive comunitarie, a partire da quella sulla liberalizzazione delle concessioni balneari. Lo slittamento del quinto tavolo tecnico del 25 settembre preoccupa e molto gli imprenditori balneari. Niente data sostitutiva e non trapelano più informazioni sulla mappatura delle spiagge italiane, la strategia ideata dal Governo per impedire l’applicazione della direttiva Bolkestein e dimostrare che la concorrenza è possibile con la presenza di ampi spazi di costa inutilizzati. «Eppure il tempo stringe» ricorda la pesarese Sabina Cardinali, presidente nazionale Cna Balneari. «Capisco che l’Esecutivo deve affrontare mille emergenze, ma questa non è seconda a nessuna soprattutto adesso che la scadenza delle concessioni si avvicina». La deadline stabilita dal Milleproroghe che fissa al Parlamento e ai Comuni il termine per approvare nuove regole e avviare le procedure di gara, cade infatti nel 2024.
Una data fatale dove scadranno i titoli giuridici dei concessionari che, considerati occupanti abusivi di un bene demaniale, non potranno più continuare a gestire gli stabilimenti. «Scenario – prosegue Cardinali – che non subiremo dimostrando che proprio perché la risorsa non è scarsa è possibile l’entrata di nuove imprese e non giustifica l’applicazione della direttiva».
Lo si nota dalla scarsa dinamicità del mercato delle compravendite. «I contratti per gestire gli stabilimenti – interviene Roberto Luzi della Phoenix Immobiliare di Grottammare – non sono un problema invece lo sono i contratti di vendita che non si perfezionano». Spiega che chi vende si propone al mercato con prezzi che tengono conto degli investimenti fatti dal proprietario sulla struttura mentre chi compra chiede ribassi su ribassi e non conclude con l’acquisto poiché teme l’applicazione della Bolkestein e quindi di trovarsi con un pugno di mosche.
Inoltre, a rendere l’estate ancora più amara per l’imprenditoria del mare è stata la possibilità, quest’anno, di andare oltre la stagione, come consentito dalla Regione, ma nella pratica, neanche i più audaci sono stati messi in condizioni di farlo. Da una parte la giunta, tenendo conto di una stagione partita col piede storto tra le mareggiate di maggio e un mese di giugno non esaltante, ha cercato di prolungare l’estate fino al 1°ottobre avendo cura anche di ampliare il calendario dei monitoraggi e dei controlli della qualità igienico sanitario delle acque marine balneari. Dall’altro, la Capitaneria.
Un mese che Giuseppe Ricci dello Stella Marina a San Benedetto, presidente della Itb Italia, sfruttava da sempre mentre faceva il rimessaggio del suo chalet. Con una formula convincente: l’elioterapia, i bagni di sole. Formula morta la seconda domenica di settembre a causa delle attuali regole vigenti. «Purtroppo – spiega – senza il servizio di salvataggio in riva al mare, non era possibile autorizzare un cliente a stendersi su un lettino, a riposarsi un attimo al fresco di un ombrellone, a godere della spiaggia. Nemmeno avvertendo il cliente che la spiaggia era sprovvista di bagnino-soccorritore. Non ci è stata data un’alternativa dalla Capitaneria: abbiamo dovuto chiudere, ma sabato vengono degli avvocati per valutare la situazione». E ciò mentre in Toscana, i Comuni di Forte dei Marmi e di Viareggio hanno esteso l’apertura degli stabilimenti balneari fino al 5 novembre». Forse un’alternativa ci sarebbe: prevedere a bilancio i costi delle cooperative di soccorso e, quindi, aumentare i prezzi degli stabilimenti per settembre. Un paradosso. Si tratta del mese che proprio perché di bassa stagione attira un altro tipo di turismo, quello slow, più maturo, che girovaga dal mare ai monti, target delle politiche di destagionalizzazione.
Ora però, come paventato più volte negli ultimi giorni, il vero incubo per l’esecutivo è lo spread legato al rendimento dei BTP, che suggerisce scenari foschi paragonabili, secondo alcuni investitori, a quelli che costarono la caduta al governo Berlusconi nel 2011. Lo stesso ministro dell’Economia Giorgetti non ne ha fatto mistero, gelando i colleghi di governo con una battuta esplicativa.
La settimana scorsa il ministro Giancarlo Giorgetti durante una riunione con vice e sottosegretari all’Economia a proposito di Nadef, manovra, scenari e dintorni si è rivolto a Maurizio Leo: “Se continuano ad aumentare lo spread e i tassi d’interesse sai come finisce, caro mio? Io torno a vendere le case e tu a fare il commercialista”.
A riportarla è un articolo di Simone Canettieri per “il Foglio”, in cui si sottolinea la risolutezza di Giorgetti nel prepararsi a fare tagli da 2 miliardi che non hanno voluto fare i singoli ministeri ma soprattutto la fragilità del governo rispetto agli attacchi interni. Una semplice battuta, nello stile dissacratorio tipico di Giorgetti, ma che lascia intravvedere bene quali siano i rischi per il governo in autunno.
Il clima di assedio dei mercati va a braccetto con le perplessità della struttura dirigenziale, poi c’è il mondo bancario con cui i rapporti si sono guastati non poco col balletto sulla tassa agli extra-profitti. Così come non piace idea che avrebbe il governo per far fronte ai crediti deteriorati e infine sulle norme parlamentari in discussione a proposito dei cda degli istituti di credito.
E poi c’è il prossimo rating sul debito italiano, che è forse il maggiore timore del governo vista l’aria che tira sui mercati. Un downgrade dei nostri titoli a ‘spazzatur’ rischierebbe davvero di imporci interessi tali sul debito da mandare all’aria il sistema. La data da circoletto rosso è il 17 novembre. In piena legge di stabilità, Moody’s deciderà sull’affidabilità dell’Italia. Se dovesse scegliere la strada del downgrading, cioè del declassamento dell’affidabilità del Paese, si passerebbe dal livello di “investment grade” a quello dello “speculative grade”. E si rischierebbe un nuovo 2011.