«Quelle immagini – spiega infatti il presidente del Consiglio a Bruno Vespa – mi hanno portato esattamente dove sono. L’ho raccontato tante volte. È in quel 19 luglio che ho deciso di impegnarmi in politica, perché ho pensato, davanti alle immagini di quella devastazione, che non si potesse rimanere indifferenti». Non solo. Analizzando un fenomeno che ha duramente condizionato storia e immagine del Bel Paese, la Meloni aggiunge a stretto giro: «È il consenso che rende la mafia quello che è. Paolo Borsellino non poteva tornare indietro, poteva solo andare avanti per dare l’esempio». La lezione più importante: «Che non si poteva dare il proprio consenso. Sono uomini che di solito si vedono nei film, in questo tempo. Persone che – aggiunge il premier – sanno che il loro sacrificio estremo è l’unico modo per andare avanti in quella battaglia».
E a proposito di dare l’esempio, Giorgia Meloni torna sulla dimostrazione più plastica e calzante di esempio data dall’esecutivo di cui è alla guida: «Sono estremamente fiera che il primo provvedimento di questo governo, nel primo Consiglio dei ministri da presidente del Consiglio, è stato difendere il carcere ostativo». Ovvero: «Difendere uno degli elementi più forti della legislazione antimafia, nati sulla scorta di quelle stragi. Perché altrimenti, per una serie di vicissitudini, rischiavamo di smontare una delle cose più efficaci di cui l’antimafia dispone».
E infine, tracciando un bilancio e guardando alle prospettive future, la Meloni conclude: «Grazie a Borsellino, Falcone e tantissimi altri che andrebbero citati, noi una volta eravamo famosi per esportare la mafia. Adesso siamo famosi perché esportiamo l’antimafia. Siamo un modello nel mondo di lotta alla mafia. Ci chiamano a collaborare in tutto il mondo: dall’Europa fino all’America Latina». E a proposito di esempio, non si può che esserne consapevoli e soddisfatti.