“Piena sintonia” tra la premier Giorgia Meloni e il suo irrequieto vice Matteo Salvini. E non c’era da aspettarsi altro dalla stringatissima nota di Palazzo Chigi al termine dell’incontro che si è svolto in calce alla riunione sul Pnrr, compresi il caffè e la foto di rito all’insegna dei sorrisi di circostanza. Anche se è altrettanto sicuro che la presidente del consiglio abbia cercato di ammansire le esuberanze dell’alleato leghista, non tanto in riferimento alla legittima competizione elettorale, quanto al fatto che Meloni sarebbe sempre più dell’avviso di sostenere la rielezione di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea nel caso in cui gli equilibri a Bruxelles non slittino decisamente a destra.
Che sul programma di governo il centrodestra marci con “visione comune”, e perciò più “velocemente” di quanto non abbiano fatto altre coalizioni di governo, è un fatto che la premier ha buon titolo a rivendicare, come fa dai microfoni di Rtl. Scontato, quindi, che Meloni e Salvini si siano trovati d’accordo nel “raggiungere tutti gli obiettivi del programma elettorale”.
Anche se il Carroccio scalpita per portare a casa l’autonomia differenziata prima delle europee e solo a queste condizioni è disposta a digerire quella riforma del premierato tanto cara a Meloni, ma rispetto a cui continua a preferire il cancellierato. Semmai è sulle regionali che vanno appianate le tensioni per evitare di far regali al centrosinistra, come diventa plausibile in Sardegna, dopo che FdI ha scaricato il governatore uscente Solinas, che però intende correre ugualmente col Psd’Az in orbita leghista.
Una volta archiviata la manovra, la questione riguarda infatticome affrontare le regionali e arrivare alle europee. “Il governo va preservato. Punto”, fa sapere un ministro di FdI. E da questo punto di vista è plausibile che tra la premier e il suo vice si sia rinnovato il comune intento di portare avanti le due riforme bandiera quantomeno fino al voto per l’Europa, mentre per le candidature il problema investe sempre anche le realtà locali.
In quanto poi alle europee, “le regole di ingaggio andavano chiarite”, insistono da FdI. Benvenga la competizione, insomma, ma che non si ripercuota sull’esecutivo. Il che vale per la campagna elettorale, ma anche di più per il dopo.