Trattativa Stato-mafia: Dell’Utri mediatore con Berlusconi

Novità nell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. Dodici le persone indagate a cui ieri sera è stato notificato l’avviso di conclusione delle indagini. Grave la posizione di Dell’Utri, che avrebbe fatto da mediatore – così sostiene la Procura di Palermo – con Silvio Berlusconi, pure lui oggetto del ricatto, nella qualità di presidente del Consiglio appena nominato, nel 1994. Fra coloro che i pm ritengono responsabili anche l’ex capo della polizia, Vincenzo Parisi, e l’ex vicedirettore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Francesco Di Maggio, entrambi morti nel 1996.

Un intreccio di ampio respiro, tra i vertici delle forze investigative e dello Stato e i vertici di Cosa nostra, avrebbe partecipato, con reciproche concessioni, a questa intesa inconfessabile: da una parte Parisi, Di Maggio, due ex generali dei carabinieri del Ros, Mario Mori e Antonio Subranni, l’ex colonnello Giuseppe De Donno, l’ex ministro Calogero Mannino e Dell’Utri; dall’altra parte, quella di Cosa nostra, il superkiller Leoluca Bagarella, l’attuale pentito Giovanni Brusca, il medico-boss Antonino Cina’, Totò Riina e Bernardo Provenzano.

Nella lista delle persone cui è stato notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari (per le quali si prospetta la richiesta di processo) ci sono anche altri due indagati che non sono materialmente accusati di avere partecipato alla trattativa: l’ex ministro Nicola Mancino, che risponderà di falsa testimonianza al processo Mori, e Massimo Ciancimino, accusato di concorso in associazione mafiosa e di calunnia aggravata nei confronti dell’ex capo della polizia, Gianni De Gennaro.

Fuori dall’elenco i nomi di Giovanni Conso e Adalberto Capriotti: l’ex guardasigilli e l’ex direttore del Dap sono accusati di false informazioni al pubblico ministero, reato che però presuppone che sia concluso il processo principale, per potere procedere nei confronti degli indagati.
Non è secondario a questo punto il dato anagrafico: Conso ha 90 anni, Capriotti 89. Le accuse principali sono di violenza o minaccia a corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato, reato che, in presenza di più  persone e di un’associazione armata, prevede una pena da tre a 15 anni.

L’avviso conclusivo non è stato firmato né dal procuratore capo, Francesco Messineo, né dal sostituto Paolo Guido.
Messineo non è formalmente titolare del procedimento, anche se ha partecipato a numerosi atti di indagine; Guido, titolare a tutti gli effetti, ha invece espresso un dissenso netto e aperto rispetto alla linea portata avanti dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dai sostituti Nino Di Matteo, Lia Sava e Francesco Del Bene, che sono gli autori dell’atto di accusa.

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